Catania. Sono trascorsi sette anni e niente e nessuno potrà mai restituire la vita al sergente della Marina Militare Salvatore Cannizzo, originario di Catania e deceduto a soli 36 anni, era il 17 settembre del 2012, per un ologoastrocitoma, un tumore al cervello, che sarebbe stato contratto inspirando uranio impoverito durante le sue missioni in Kosovo. Il povero Cannizzo però è riuscito ad ottenere almeno un po’ di giustizia e con essa anche una rivincita sul ministero della Difesa.
Il giudice della terza sezione civile del Tribunale di Catania, Angelo Pappalardo, ha infatti riconosciuto ai congiunti del militare, un risarcimento per la sua morte, riconosciuto per i cosiddetti “danni riflessi” che gli stessi parenti hanno subito in quanto persone vicine e come conseguenza delle sofferenze o del decesso del loro congiunto.
La vicenda di Cannizzo aveva suscitato clamore, anche per la determinazione con cui il sergente aveva lottato, rivendicando i diritti delle vittime di simili contesti anche con proteste eclatanti, come quando il 2 luglio del 2012 si era incatenato in via Etnea.
L’azione civile, avanzata dagli avvocati Sergio Consoli e Davide Preziosi, aveva chiamato in causa il Ministero, che sarebbe stato responsabile “per avere omesso di informare i militari dei rischi connessi all’utilizzo, nelle aree cui si trovavano a operare (in tesi, Albani, ex-Jugoslavia e Kosovo), di armamenti all’uranio impoverito e per aver omesso di adottare le adeguate misure di prevenzione, precauzione e sicurezza.” Di qui la richiesta di risarcimento di tutti i danni patrimoniali, non patrimoniali, biologici, morali e esistenziali patiti.
Il Ministero, da parte sua, ha contestato la fondatezza della domanda risarcitoria, perché a suo dire non ci sarebbe stata alcuna prova dell’esposizione di Cannizzo a radiazioni di uranio impoverito, né sarebbe stato possibile individuare condotte omissive o comportamenti colposi da parte del Ministero stesso. Nel corso del processo civile è stata esperita una consulenza tecnica d’ufficio medico-legale del prof. Orazio Cascio.
Secondo il giudice Pappalardo “deve ritenersi accertata la responsabilità del ministero della Difesa… per l’insorgenza della patologia tumorale in capo a Cannizzo Salvatore e per il conseguente decesso, in ragione della condotta omissiva colposa dell’autorità militare che non ha fornito adeguate informazioni al personale militare in servizio, non ha pianificato e valutato gli elementi di rischio e non ha predisposto delle misure di prevenzione individuale-DiP, atte, se non a eliminare l’assorbimento di sostanze dannose confuse nelle polveri dell’aria, almeno a ridurre in termini apprezzabili i rischi per la salute…”
Secondo il giudice del Tribunale di Catania esiste la prova del nesso di causa fra l’esposizione all’uranio impoverito e la malattia contratta dal militare“…anche all’esito della Ctu medico-legale – scrive il giudice in sentenza- si ritiene adeguatamente provato il nesso eziologico, perché la patologia tumorale riscontrata nel Cannizzo, con alta probabilità, trova causa efficiente nella esposizione all’uranio impoverito. Invero il Ctu rileva che il de cuius è stato esposto a fattori di rischio cancerogeno, in particolare a contaminazioni tossiche provocate dalla combustione e ossidazione dei metalli pesanti causate dall’impatto e dall’esplosione delle munizioni anche all’uranio impoverito, nonché alla conseguente contaminazione dell’acqua e dell’aria dei luoghi di lavoro…”
In sentenza, il giudice ricorda anche gli studi e le indagini di organismi internazionali sulla correlazione fra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgenza di tumori, che hanno spinto il governo degli Stati Uniti, l’Onu e la Nato a prendere misure di protezione, “conosciute dallo Stato italiano sin dal 1992..”. Non solo, nel 2006 era stata istituita apposita commissione d’inchiesta sul fenomeno, nella cui relazione hanno trovato conferma i dati dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa e dell’Istituto Superiore della Sanità.
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