Se la Russia attacca i Paesi baltici la Nato è destinata a perdere

Appena 36 ore per prendere Riga e Tallin. Meno di tre giorni per occupare Estonia e Lettonia, sbaragliare la difesa della Nato e lasciare l’Occidente davanti al fatto compiuto. Proprio come in Crimea. È il risultato di una simulazione di Rand Corporation.

 

I 22 battaglioni corazzati del Distretto militare occidentale dell’esercito russo hanno attaccato a sorpresa il confine con la Lettonia. Hanno marciato sulla capitale Riga mentre sferravano un secondo attacco sul confine nordorientale che ha assicurato rapidamente le aree a maggioranza etnica russa dell’Estonia, procedendo poi verso Tallinn. I 12 battaglioni Nato schierati nell’area non sono riusciti a opporre un’adeguata resistenza e hanno lasciato agli eserciti locali il compito di ritardare l’avanzata russa sui due principali assi. Le poche forze a disposizione sono state schierate a difesa delle due capitali nel tentativo di difenderle.

Ne è risultato un disastro senza mezzi termini per la Nato. Le forze russe hanno eliminato ogni resistenza e hanno preso le due città in 36 ore.

“La difesa di Tallin, Riga e Vilnius è importante come quella di Berlino, Parigi e Londra”, aveva detto Barack Obama in visita in Estonia nel 2014, proprio in piena aggressione russa all’Ucraina. “L’articolo 5 del Patto atlantico è chiaro, un attacco a uno è un attacco a tutti. Noi saremo qui per l’Estonia. Noi saremo qui per la Lettonia. Noi saremo qui per la Lituania. Avete perso la vostra indipendenza già una volta. Con la Nato non la perderete un’altra volta”.

La verità, però, è che la Nato non può difendere i Paesi baltici.

Come in Crimea

Rand Corporation è un think tank statunitense specializzato in sicurezza, spesso al fianco della Difesa americana, che può vantare 31 premi Nobel tra i suoi collaboratori presenti e passati. Il rapporto dal titolo “Rafforzare il potere deterrente della Nato sul fianco orientale” riassume i risultati numerose simulazioni che esperti delle forze armate americane e Nato in Europa hanno fatto nell’arco dell’ultimo anno.

Durante gli anni della Guerra fredda la Nato schierava sul proprio confine in Europa otto eserciti e 20 divisioni. Oggi sulla linea che separa i Baltici da Russia e Bielorussia, lunga più o meno quanto quella tra l’allora Germania federale e il Patto di Varsavia, ci sono solo le tre brigate di fanteria leggera degli eserciti nazionali.

Se la Russia facesse un colpo di mano in Lettonia ed Estonia metterebbe l’Occidente di fronte a un fatto compiuto, proprio come ha fatto con la Crimea e, in una certa misura, in Donbass. A cose fatte, secondo gli esperti della Rand, la Nato avrebbe tre opzioni. Una peggio dell’altra.

La più ovvia sarebbe mobilitare le proprie forze in una controffensiva per liberare i Paesi occupati. La scelta spetterebbe in primis ai governi estone e lettone, ed è tutt’altro che sicuro che sarebbero disposti a trasformare le proprie capitali in campi di battaglia. È un’opzione che offrirebbe un alto rischio di escalation, perché sarebbe visto da Mosca come un attacco alla Russia.

La seconda sarebbe rispolverare la dottrina della “rappresaglia massiccia” della Guerra fredda e minacciare una risposta nucleare in caso di non ritirata, con conseguenze immaginabili.

Infine i Paesi Nato potrebbero accettare il dato di fatto, non riconoscere l’occupazione e dare il via a un clima da nuova guerra fredda, magari emanando nuove sanzioni contro la Russia.

Quest’ultima suona già sentita?

Una ragione per esistere

“Vladimir Putin ha fino a oggi attaccato per tre volte dei Paesi confinanti, contando la seconda invasione dell’Ucraina ancora in corso. Il suo progetto di portare sotto l’influenza russa i Paesi vicini ha posto fine a un periodo di pace e stabilità post Guerra fredda in Europa durato quasi una generazione e ha rinforzato la paura tra i suoi vicini. Dopo l’Ucraina, l’obiettivo più probabile per un’azione di forza della Russia sono i Paesi baltici”. Così è scritto nel rapporto.

È difficile dire se ci sia un reale pericolo russo al confine dell’area baltica, ma chi poteva dirlo due anni fa dell’Ucraina? Le larghe comunità di etnia russa che abitano soprattutto in Estonia e Lettonia potrebbero offrire a Putin un pretesto troppo simile a quello che ha giustificato l’annessione militare della Crimea. Chi si ricorda il suo discorso in quell’occasione in cui rivendicava il diritto di difendere le comunità russe disseminate fuori dalla Russia dopo il crollo dell’Urss?

Fortunatamente, secondo il rapporto, la soluzione c’è. Aumentare la forza militare Nato nel Baltico di almeno sette brigate, di cui tre con armamenti pesanti, sarebbe un deterrente sufficiente a evitare un’invasione lampo della regione. E non costerebbe neanche tanto, dicono: 2,7 miliardi all’anno.

Potrebbe sembrare una coincidenza che il rapporto sia stato diffuso nello stesso giorno in cui il segretario della Difesa Usa Ashton Carter ha svelato un piano da 3,4 miliardi di dollari in armamenti pesanti e blindati in Europa orientale. Ma ovviamente non lo è.

Le notizie preoccupanti diffuse da Rand vanno – e non potrebbe essere diversamente per un think tank nato come progetto di sviluppo militare e che ha fatto la storia della Guerra fredda – a braccetto con le richieste dei vertici della Difesa Usa e della Nato, alla ricerca di maggiori stanziamenti dopo anni di tagli. I secondi, anzi, anche e soprattutto di una ragione per reistere.

Diciamo che Putin quest’ultima gliel’ha offerta.

@daniloeliatweet

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