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ROMA, SUICIDA NEL CARCERE DI FROSINONE IL DETENUTO DELLO SRI LANKA CHE HA UCCISO DOMENICA LA EX MOGLIE A ROMA

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“Si è tolto la vita nel carcere di Frosinone, dove era ristretto, il detenuto dello Sri Lanka che domenica aveva ucciso a Roma, in strada,  la ex moglie”, commentano amareggiati Franco d’Ascenzi e Piero Pennacchia, dirigenti sindacali del Sappe per il Frusinate.

“L’uomo, 49 anni,mera stato portato alla Casa circondariale di Frosinone e ristretto nel I reparto della II Sezione adibito a Reparto Covid per effettuare la quarantena per chi proviene dall’esterno (quindi era da solo nella stanza).

Alle ore 8:30 circa di questa mattina all’interno del bagno ha fatto un laccio che ha incastrato alla porta di ferro la chiusa in modo che non poteva scivolare se la messa al collo e si è lasciato cadere, il personale Polizia Penitenziaria prontamente intervenuto non ha potuto fare nulla per salvarlo”.

Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, richiama un pronunciamento del Comitato nazionale per la Bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come “il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze.

La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri.

Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti”. 

“Fondamentale” conclude Capece ” è eliminare l’ozio nelle celle. Altro che vigilanza dinamica. L’Amministrazione Penitenziaria non ha affatto migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti, quasi tutti alle dipendenze del Dap in lavori di pulizia o comunque interni al carcere, poche ore a settimana”.

 Da qui il rinnovo dell’invito al Guardasigilli Cartabia di trovare una soluzione urgente ai problemi penitenziari dell’intero Paese.

Roma, 1 giugno 2021

Dott. Donato CAPECE – segretario generale SAPPE

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