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Riesce a dimostrare di aver subito Mobbing in servizio. Militare ottiene la pensione privilegiata

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La sentenza che vi proponiamo oggi differisce da tutte le altre e tratta un argomento molto delicato, quello del “Mobbing in ambito militare“. Un militare dell’ Aeronautica , difeso dall’ ’Avv. Michela SCAFETTA, è riuscito ad ottenere la pensione privilegiata dopo essere riuscito a convincere i giudici che il suo stato depressivo era stato causato anche dal trattamento vessatorio subito in servizio.

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La richiesta del militare presso la Corte dei Conti chiedeva l’annullamento del decreto negativo del Ministero della Difesa,  emesso sulla base del parere del Ministero del Economia e delle Finanze , oltre all’atto dell’ INPS  con conseguente riconoscimento del diritto di percepire la pensione privilegiata ordinaria per la patologia “Depressione Maggiore Cronica” dipendente da causa di servizio.


L’ ufficiale dell’Aeronautica Militare, in forza ad un Reggimento  dell’Esercito Italiano, nel dicembre 2014 venne giudicato  “permanentemente non idoneo al servizio militare incondizionato” dalla Commissione Medica Ospedaliera del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Roma per la patologia “Persistente disturbo adattamento con aspetti emotivi misti ansioso depressivi confermati al test, precedentemente trattato con ricovero psichiatrico”” e venne collocato in congedo anticipato per infermità non dipendente da causa di servizio.

Il militare ritenne che la patologia fosse diretta conseguenza di fatti inerenti la condizione lavorativa e già nel 2013 presentò istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.

Nel 2016 l’INPS anticipò il provvedimento di diniego alla concessione della pensione privilegiata ordinaria, in quanto il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, aveva espresso il parere che l’infermità “sindrome ansiosa depressiva resistente ai farmaci” non poteva riconoscersi dipendente da causa di servizio, “in quanto trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro – vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta”. Sulla base del predetto parere già il Ministero della Difesa aveva dichiarato l’infermità non dipendente da causa di servizio e respinto la richiesta di equo indennizzo .

L’INPS dispose che “non è concessa la pensione di privilegio a seguito del parere del Comitato di Verifica per le cause di servizio , secondo il quale l’infermità “sindrome ansiosa depressiva, resistente ai farmaci” non può riconoscersi dipendente da causa di servizio

Nell’ aprile 2017 il militare adì le vie legali descrivendo minuziosamente il percorso di visite specialistiche e di cure al quale si era sottoposto fino alla cessazione dal servizio. La Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Emilia Romagna ha così interpretato le motivazioni del contenzioso.

Stralcio di sentenza della Corte dei Conti

Ad esito dell’istruttoria compiuta, la Sezione ritiene che il ricorso proposto meriti accoglimento.

L’Ufficio Medico Legale del Ministero della Salute, all’uopo interpellato, con la partecipazione di un esperto esterno specialista ospedaliero in psichiatria, ha svolto un’approfondita analisi della fattispecie, nel pieno contraddittorio con i periti delle parti, sottoponendo il ricorrente a visita diretta ed acquisendo la documentazione necessaria al fine di valutare il servizio svolto e l’incidenza causale dello stesso nell’evoluzione della patologia psichiatrica accertata.


In particolare, l’UML ha posto in rilievo che il ricorrente, nel corso della sua attività lavorativa, “è andato incontro a diverse situazioni di pericolo per la propria vita durante le missioni all’estero e a particolari situazioni vessatorie da parte di superiori gerarchici, come ampiamente documentato da indagini svolte e i cui resoconti investigativi sono presenti in atti” (parere, pag. 2).

L’UML ha anche osservato come l’infermità lamentata dal ricorrente, come documentata in atti e riscontrata dalla visita diretta effettuata, è andata incontro ad un progressivo peggioramento, “sino ad assumere aspetti di grave depressione del tono dell’umore come espressione di una sindrome traumatica da stress”, proprio in correlazione con il graduale aumento, nel tempo, della perdita di autostima correlata alle vessazioni subite, intense e continue, ed alle successive conseguenze, fatti di servizio, gravi e costanti, che costituiscono quindi certamente concausa efficiente e determinante dell’insorgere e dell’aggravarsi della patologia che ha cagionato la cessazione dal servizio del ricorrente.

I gravi fatti di servizio che hanno concorso in modo determinante all’insorgere ed all’aggravarsi della patologia psichiatrica trovano piena prova nella documentazione in atti.

In primo luogo, la Sezione richiama la relazione di servizio redatta dallo stesso ricorrente , in cui sono descritte e documentate le missioni all’estero anche in zona di guerra, le operazioni militari a cui ha partecipato ,ed i numerosi episodi di vessazione cui è stato sottoposto al rientro dalle missioni.

Per i fatti narrati nella relazione, il ricorrente è stato indagato per “Diffamazione Pluriaggravata (artt. 227, commi 1 e 2, e 47, n. 2, c.p.m.p.)”, procedimento che ha determinato presso il Tribunale Militare,  la decisione di non luogo a procedere nei suoi confronti. In Appello fu disposta l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato .



I continui e rilevanti fatti di vessazione subiti dai superiori hanno trovato conferma nel corso delle indagini svolte in sede penale dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare . Nel documento avente ad oggetto “esito dell’attività investigativa ex art. 370 c.p.p.” effettuata dall’Ufficio di Coordinamento di Polizia Giudiziaria acquisito dall’UML (doc. 1 allegato al parere e allegato 2 alla memoria ric. del 14 maggio 2018), originato dal predetto procedimento penale a carico del ricorrente, la PG descrive minuziosamente i fatti rilevanti emersi a seguito dell’indagine e delle testimonianze acquisite, che hanno confermato i numerosi episodi di vessazione che hanno determinato l’insorgere e l’aggravarsi della malattia, come si evince dalle testimonianze riportate nel documento in esame.

Le conclusioni cui è pervenuta l’indagine penale confermano “situazioni suscettibili di essere comprese nel fenomeno che la giurisprudenza comune ha identificato come “straining”, più comunemente noto come mobbing in ambito militare. In effetti, la presente indagine contiene tutti gli elementi costituenti il fenomeno – reato: azioni di reprimenda ingiustificate, emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale. Il tutto confluito in apposita documentazione sanitaria comprovante una condizione di “depressione maggiore cronicizzata in disturbo dell’adattamento in situazione occupazionale con aspetti avversativi giunta sino alla riforma totale per inabilità fisica” . Condizione lavorativa grave e costante, che caratterizza il fenomeno riscontrato.

I fatti di servizio, come comprovati in atti, confermano l’infondatezza del giudizio medico legale espresso dal Comitato di Verifica delle Cause di Servizio , che motiva il giudizio di non dipendenza da fatti di servizio sull’erronea valutazione proprio di tali fatti, quali insufficienti, per intensità e durata, a favorire lo sviluppo dell’infermità.

La Sezione condivide, pertanto, le conclusioni alle quali è pervenuto l’Ufficio Medico Legale, supportate da una meticolosa acquisizione della documentazione rilevante e da un’analitica valutazione medico legale dei fatti riscontrati, secondo un percorso motivazionale coerente e privo di vizi logici.

Le motivazioni contenute nel parere dell’UML sono quindi concordi con le valutazioni medico legali contenute nella perizia del CTP del ricorrente e con quelle svolte dal Dr. OMISSIS nel giugno 2013, che rinviene un preciso nesso causale tra condotta mobbizzante subita sul luogo di lavoro ed infermità psichiatrica.

Risulta quindi pienamente provata la rilevanza concausale del servizio reso all’ingenerarsi e, soprattutto, alla rapida progressione della patologia psichiatrica, che l’Ufficio Medico Legale ritiene equo classificare, in relazione alla gravità riscontrata, alla 1^ ctg. della Tab. A.

Il ricorso deve quindi essere accolto, con accertamento del diritto del ricorrente alla pensione privilegiata ordinaria di 1^ ctg. vitalizia, Tab. A, per l’infermità “sindrome ansioso depressiva, resistente ai farmaci” a decorrere dalla data del congedo, avvenuto il 25 maggio 2015, da durare a vita.

Poiché il ricorso è stato proposto entro il quinquennio dalla data di maturazione del diritto a pensione, l’eccezione di prescrizione sollevata dall’INPS non può essere accolta.

Rimangono assorbite nella presente decisione tutte le ulteriori domande e deduzioni proposte dalle parti.

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia – Romagna, definitivamente pronunciando,

ACCOGLIE

Il ricorso e accerta il diritto del ricorrente alla concessione della pensione privilegiata ordinaria di 1^ categoria, Tabella A, per l’infermità “sindrome ansioso – depressiva, resistente ai farmaci” a decorrere dal 25 maggio 2015 da durare a vita. Condanna l’INPS a corrispondere al ricorrente le differenze pensionistiche spettanti a decorrere dal 25 agosto 2015, data di decorrenza economica della pensione. Condanna l’INPS e il Ministero della Difesa, in solido tra loro, al rimborso, a favore del ricorrente, del compenso spettante alla difesa, che liquida in € 3.000,00 (tremila/00), oltre il rimborso per spese forfettarie nella misura del 15 % del predetto compenso. Oneri secondo legge.


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