Lo scorso 8 giugno 2020, la Corte dei Conti regione Toscana ha condannato nuovamente l’Inps che ancora si ostina a rigettare le richieste di ricalcolo presentate da migliaia di militari.
Questa volta, in un ricorso congiunto di undici militari, il giudice ha rimarcato l’indirizzo della giurisprudenza contabile, alla cui stregua non risulta corretta la posizione dell’INPS per cui l’art. 54, comma 1, D.P.R. n. 1092/73 troverebbe spazio solo nell’ ipotesi, non ricorrente nella fattispecie all’esame, in cui il congedato abbia maturato, all’atto del congedo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio.
Gli undici militari, un LGT. C.S. Arruolato nei Carabinieri in data 25.3.1982, cessato dal servizio il 17.8.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 18.8.2019;
un LGT. C.S. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 31.10.1981, cessato dal servizio il 31.8.2018, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 1.9.2018;
un MAR. Magg. Arruolato nel Corpo Forestale dello Stato in data 1.1.1984, cessato dal servizio il 30.9.2018, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 1.10.2018;
un BRIG. CAPO Q.S. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 3.4.1981, cessato dal servizio il 26.3.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 27.3.2019,
un BRIG. CAPO Q.S. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 26.1.1982, cessato dal servizio il 29.11.2017, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 4.1.2018 (in realtà, la decorrenza è dal 30.11.2017, come da provvedimento pensionistico in atti);
un BRIG. CAPO Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 1.12.1982, cessato dal servizio il 31.8.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 1.9.2019,
un BRIG. CAPO Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 21.2.1987, cessato dal servizio il 30.9.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dall’ 1.10.2019;
un BRIG. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 12.5.1982, cessato dal servizio il 28.3.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 29.3.2019;
unAPP.SC. Q.S.Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 13.5.1982, cessato dal servizio il 29.3.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 30.3.2019;
un APP.SC. Q.S. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 27.4.1983, cessato dal servizio il 30.9.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dall’1.10.2019;
ed infine un APP.SC. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri in data 27.5.1982, cessato dal servizio il 30.3.2019, titolare di pensione ordinaria diretta di anzianità, liquidata con sistema misto dal 31.3.2019., hanno ottenuto il giusto riconoscimento al ricalcolo per i motivi che il giudice ha cosi descritto:
Il presente ricorso va accolto nei termini sottoindicati.
A tal riguardo, questo Giudice, dopo aver evidenziato che la pensione dei ricorrenti risulta liquidata con il metodo misto, come evincibile dai provvedimenti pensionistici in atti, ritiene di condividere quella giurisprudenza contabile, alla cui stregua non risulta corretta la posizione dell’INPS per cui l’art. 54, comma 1, D.P.R. n. 1092/73 troverebbe spazio solo nell’ipotesi, non ricorrente nella fattispecie all’esame, in cui il congedato abbia maturato, all’atto del congedo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio.
Nello specifico, la predetta giurisprudenza, con riferimento a casi analoghi a quello vagliato in questa sede, si è così espressa:
“…Come è incontestato, la pensione del ricorrente è stata liquidata con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), poiché l’interessato, alla data del 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 13 legge n. 335/1995), non possedeva un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni.
Conseguentemente, il suo trattamento di quiescenza è stato liquidato secondo il sistema delle quote di cui al precedente comma 12 della disposizione citata, il quale prevede che “per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma:
a) della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data;
b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo”.
La questione dell’aliquota di rendimento applicabile si pone, come è evidente, esclusivamente per la quota A, ovverosia quella calcolata con il sistema retributivo.
Giusta il disposto della norma, al suddetto fine va fatta applicazione della normativa vigente alla data del 31 dicembre 1995.
Nel caso, come quello che interessa, del personale militare, l’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, vigente alla data del 31 dicembre 1995, prevede che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo (comma 1).
La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo (comma 2)”.
Come detto, la difesa dell’INPS obietta che la norma non potrebbe trovare applicazione nel caso del ricorrente per due ragioni.
In primo luogo, si sostiene, l’aliquota del 44% si applicherebbe soltanto a coloro che siano cessati dal servizio con un’anzianità contributiva compresa tra i quindici e i venti anni di servizio.
In secondo luogo, essa troverebbe applicazione unicamente per coloro la cui pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo.
Tuttavia, entrambe le affermazioni non trovano riscontro nella normativa.
Per quanto concerne la prima, la lettera del primo comma dell’art. 54, su cui sostanzialmente si basa l’interpretazione data dall’INPS, deve invece intendersi nel senso che l’aliquota ivi indicata vada applicata a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni, mentre il successivo comma chiarisce che la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio (come opinato dall’INPS), atteso che esso prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo. Come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione.
La seconda affermazione, che presumibilmente costituisce un corollario della prima, neppure può essere condivisa, non trovando peraltro nessun riferimento in alcuna norma…” (così, testualmente, Corte Conti, Sez. giur. Sardegna, 4 gennaio 2018, n. 2; id., Sez. giur. Sardegna, 4 aprile 2018, n. 68; in termini analoghi, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. Calabria, 20 aprile 2018, n. 53).
Trattasi di posizione che questo Giudice ritiene di condividere, nonostante la sussistenza di pronunce di segno contrario, quali quelle richiamate dall’Istituto previdenziale, siccome posizione fondata su di una lettura combinata dei primi due commi dell’art. 54 D.P.R. n. 1092/73, in grado di assicurare un significato compiuto alla disposizione de qua.
D’altro canto, la correttezza di tale impostazione è stata da ultimo riconosciuta (anche) da plurime ed univoche decisioni delle Sezioni Centrali d’Appello (Sez. I, sentenza n. 422/2018, depositata l’8 novembre 2018; Sez. II, n. 197/2019, depositata il 5 giugno 2019; Sez. II, n. 205/2019, depositata il 13 giugno 2019; Sez. II, n. 208/2019, depositata il 14 giugno 2019; Sez. II, n. 310/2019, depositata il 9 settembre 2019; Sez. II, n.369/2019, depositata il 18.10.2019; Sez. II, n. 370/2019, depositata il 18.10.2019; Sez. II, n. 57/2020, depositata il 5 marzo 2020), all’esito di un articolato ed approfondito percorso argomentativo, da ritenersi qui integralmente richiamato ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d), d.lgs n. 174/2016.
Nello specifico, tali ultime decisioni (così le nn. 205/2019, 310/2019 e n. 57/2020 della Sez. II), a confutazione delle argomentazioni dell’INPS (sostanzialmente sovrapponibili a quelle formulate in questa sede), hanno sottolineato, tra l’altro:
a) l’operatività nei confronti del personale militare della disciplina generale contenuta nel Capo II (“Personale militare”) del Titolo III (“Trattamento di quiescenza normale”) del DPR n. 1092/73, nel quale è inserito, per l’apponto, l’art. 54;
b) la non configurabilità della disciplina recata dall’art. 54 quale disciplina speciale, in quanto contribuisce a definire gli ordinari criteri di calcolo della pensione per la generalità dei militari, con conseguente impossibilità di far riferimento a rigidità applicative tipiche della disciplina che fa eccezione a regole generali;
c) la spettanza, alla luce dell’inequivoco tenore letterale della disposizione, del 44% della base pensionabile in favore del personale che cessi avendo compiuto “almeno 15 anni”, risultando sostanzialmente neutre ai fini pensionistici le anzianità superiori contenute entro il limite massimo del ventesimo anno di servizio utile.
Tutto ciò induce a dare continuità all’orientamento giurisprudenziale favorevole all’accoglimento della pretesa dei ricorrenti.
D’altro canto, l’unica pronuncia d’appello richiamata dall’INPS (la n. 175/2019 della Sez. III) non appare adeguatamente motivata sul punto specifico, qui in rilievo, dell’interpretazione dell’art. 54 D.P.R. n. 1092/73.
A tal riguardo, la Sezione II, con le sentenze nn. 369 e 370 del 2019, ha significativamente sottolineato che “..la richiamata sentenza della Sezione Terza centrale di appello non ha posto in risalto argomenti univocamente rivolti ad un superamento dell’indirizzo ermeneutico consolidato nella giurisprudenza delle Sezioni Prima e Seconda centrale d’appello innanzi citata.
In estrema sintesi si tratta di una pronuncia -che al momento non appare confermata da altre statuizioni di appello- emessa senza tener conto dei precedenti arresti delle altre due Sezioni centrali d’appello..”.
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, il presente ricorso va accolto, con conseguente riconoscimento del diritto di ciascun ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento, con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973 (in termini analoghi, Corte Conti, Sez. giur. Toscana, 25 settembre 2018, n. 228; id., 18 ottobre 2018, n. 256; id., 19 ottobre 2018, n. 261; id., 5 luglio 2019, n. 337; id., 9 dicembre 2019, n. 501; id., 14 gennaio 2020, n. 23; id., 15 gennaio 2020, n. 26).
Tutto ciò a partire dalle date di decorrenza, per ogni singolo ricorrente, della relativa pensione.
Sulle somme arretrate dovute in esecuzione della presente decisione, va, altresì, liquidato l’importo più favorevole risultante dal confronto tra gli interessi computati al tasso legale e la rivalutazione monetaria determinata con applicazione degli indici ISTAT, ai sensi dell’art. 150 disp. att. c.p.c. – secondo il principio del c.d. cumulo parziale affermato nella pronuncia delle SS.RR. di questa Corte n. 10/2002/QM – con decorrenza dalla data di maturazione dei singoli ratei differenziali e sino all’effettivo soddisfo.
Va, per contro, affermata l’inammissibilità della richiesta di riconoscimento degli interessi anatocistici ex art. 1283 c.c..
Tale riconoscimento postula, come noto, una specifica e puntuale domanda (in termini, Corte Conti, Sez. Riunite, n. 8/QM/2007; id., Sez. II, n. 5772020).
Nondimeno, nel caso all’esame, la domanda relativa agli interessi anatocistici non è stata proposta con il ricorso introduttivo del presente giudizio, ma solo con la memoria pervenuta il 28 maggio 2020.
Trattasi, dunque, di domanda nuova, come tale inammissibile nel giudizio pensionistico dinanzi a questa Corte, modellato sulle disposizioni del processo del lavoro ex art.164 del codice della giustizia contabile, approvato con il d.lgs n. 174/2016 (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Emilia-Romagna, 12 ottobre 2018, n. 200; id., Corte Conti, Sez. giur. Campania, 20 giugno 2019, n. 226).
Infine, nella complessità della questione trattata e nella sussistenza di talune pronunce di segno contrario alla posizione qui accolta, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.
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