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Tar : processo di rigore annullato e amministrazione condannata – Necessaria discrezionalità amministrativa

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Il Tar Lazio annulla il  provvedimento adottato da un Comandante nei confronti di un sottoposto. Vittima dell’ingiusta punizione, un Maresciallo dell’Esercito Italiano, punito con 5 giorni di rigore per grave negligenza nell’espletamento di un servizio. Al militare non fu data alcuna comunicazione di avvio del procedimento né tanto meno una concessione dei termini necessari alla difesa. Fu punito con 5 giorni di rigore in un processo farsa conclusosi in una sola giornata , il tutto ” in spregio alla tempistica di cui al D.M. n. 603/1993 e al D.M. n. 690/1996 . Ovviamente il Maresciallo non si diede per vinto e propose il ricorso gerarchico.

Vinto il  ricorso gerarchico,  al militare venne comunicato l’avvio di un nuovo procedimento disciplinare, i cui  termini di conclusione furono fissati in 20 giorni ,  assegnando al militare 15 giorni per il deposito di eventuali giustificazioni e 5 giorni per la nomina del difensore. Il processo  si  concluse con l’irrogazione di  6 giorni di  rigore.

Il Militare propose nuovamente  ricorso gerarchico rivendicando la violazione del divieto di ne bis in idem ( stesso procedimento ripetuto due volte per la medesima causa),  la genericità della contestazione, la falsa applicazione dell’art. 59 del d.P.R. n. 3/1957, la decadenza della possibilità di contestare l’infrazione, la violazione degli art. 58 e 59 del d.P.R. n. 545/1986 e l’ eccesso di potere sotto svariati profili. Il  ricorso gerarchico venne respinto dalla superiore autorità perché infondato.

Il Maresciallo si  rivolse quindi al Tar. Secondo il Tribunale Amministrativo Regionale, le scelte discrezionali dell’Amministrazione in materia disciplinare non sono insindacabili ma sono soggette al vaglio del giudice amministrativo ogni qual volta siano rilevabili evidenze tali da palesare, ancorché sotto il solo profilo sintomatico, una distorsione nell’esercizio del potere attribuito.

Nella sentenza che vi proponiamo di seguito, il  Tar giudica negativamente l’operato complessivo dell’Amministrazione, osservando il travalicamento di quei canoni di imparzialità, proporzionalità e ragionevolezza che ne delimitano l’ambito di scelta. Ne consegue una condannata al pagamento delle spese di giudizio di € 1.000,00 oltre oneri di legge e l’annullamento di tutti gli atti impugnati . Di seguito l’ interessante sentenza. Vai a pagina 2

 

Pubblicato il 09/03/2018

N. 02698/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02543/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2543 del 2006, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ciro Castaldo presso il quale elegge domicilio, in Roma, via Angelo Emo n. 106;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

del provvedimento disciplinare n. 6462/811/15.17, datato 30 novembre 2005 adottato dal Comandante del Raggruppamento Unità Difesa – Distaccamento di Cerveteri;

del provvedimento del Comandante del Raggruppamento Unità Difesa datato 16 gennaio 2006 con il quale veniva rigettato il ricorso gerarchico proposto avverso la sanzione disciplinare del 30 novembre 2005;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 19 gennaio 2018 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con atto datato 16 settembre 2005, notificato il 28 settembre successivo, il Comandante del Distaccamento di Cerveteri del Raggruppamento Unità Difesa (RUD) comunicava al ricorrente, Maresciallo dell’Esercito Italiano in servizio presso quel Reparto, di avergli inflitto giorni 5 di consegna di rigore per “grave negligenza nell’espletamento di un servizio secondo le modalità prescritte e, più precisamente, in qualità di Ufficiale di Picchetto, non si accertava che il personale delle Ditte autorizzate fosse accompagnato dal personale del Distaccamento (art. 13 [Iniziativa]-14 [Senso di responsabilità]-25 [Esecuzione degli ordini] del Regolamento di Disciplina Militare)”: mancanza commessa il giorno 26 agosto 2005”.

Con atto datato 26 ottobre 2005 il ricorrente impugnava detta sanzione disciplinare con ricorso gerarchico innanzi al Comandante del RUD di Roma lamentando la singolarità del procedimento “iniziato e definito in una sola giornata” in spregio alla tempistica di cui al D.M. n. 603/1993 e al D.M. n. 690/1996 e deducendo, in particolare, l’omissione della comunicazione di avvio e la mancata concessione di termini a difesa.

Il Comandante del RUD, con decreto datato 8 novembre 2005, rilevata l’assenza di una “preventiva contestazione degli addebiti, specifica e congrua per tempi e modalità” e considerata l’assenza di certezze circa la preventiva visione degli atti da parte della Commissione Consultiva, il cui intervento nel procedimento è imposto dall’art. del d.P.R. n. 545/1986 (di seguito RDM), accoglieva il ricorso annullando la sanzione.

Con atto datato 11 novembre 2005 il Comandante del Distaccamento RUD procedeva nei confronti del ricorrente ex art. 66 e ss. del RDM e art. 15 della L. n. 382/1978 ad una nuova contestazione dei medesimi addebiti fissando il termine di conclusione del procedimento in giorni 20 ed assegnando contestualmente all’incolpato i termini di 15 e 5 giorni, rispettivamente, per il deposito di eventuali giustificazioni e la nomina del difensore.

A conclusione del procedimento, con provvedimento del 30 novembre 2005, l’Autorità disciplinare irrogava al ricorrente la sanzione di giorni 6 di consegna di rigore ex art. 21 del RDM (“Doveri propri dei superiori”) per “inosservanza, commessa il 26 agosto 2005 in qualità di Maresciallo di Picchetto, del dovere di effettuare i controlli previsti sul dipendente personale nell’esecuzione di un servizio di particolare rilevanza e di prevenzione del Comando di appartenenza. In particolare non si accertava che il personale delle Ditte autorizzate all’accesso fosse debitamente accompagnato dal personale a tal fine preposto secondo le norme e disposizioni di sicurezza che regolano l’accesso ai comprensori del Raggruppamento Unità Difesa”.

Avverso la sanzione da ultimo intervenuta il ricorrente proponeva nuovamente ricorso gerarchico deducendo la violazione del divieto di ne bis in idem; la genericità della contestazione e la falsa applicazione dell’art. 59 del d.P.R. n. 3/1957; la decadenza dalla possibilità di contestare l’infrazione; la violazione degli artt. 58 e 59 del d.P.R. n. 545/1986 ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Il Comandante del RUD, con decreto del 16 gennaio 2006 respingeva il ricorso gerarchico ritenendo l’infondatezza delle dedotte censure.

Il ricorrente impugnava in questa sede il rigetto da ultimo intervenuto, unitamente alla sanzione inflittagli, deducendo:

1. “la violazione del divieto assoluto del ne bis in idem – eccesso di potere – ingiustizia” poiché l’Amministrazione avrebbe adottato un provvedimento di contenuto identico a quello già annullato;

2. la “violazione dell’art. 121 DPR 10.01.1957 n. 3 – eccesso di potere – sviamento – istruttoria incompleta” nella parte in cui prevede la possibilità di una riedizione del potere disciplinare unicamente in caso di “nuove prove tali da far ritenere che sia applicabile una sanzione minore o possa essere dichiarato il proscioglimento dall’addebito”;

3. la “violazione e falsa applicazione dell’art. 59 dpr 545/86 – sviamento – difetto e/o omessa motivazione su di un punto fondamentale della questione” in ragione della genericità degli addebiti contestati;

4. la “violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 59 dpr 545/1986 e degli artt. 6 e ss.” in conseguenza del tardivo avvio del procedimento disciplinare da ultimo instaurato.

L’Amministrazione si costituiva in giudizio confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 17 maggio 2006, con ordinanza n. 2543/2006 veniva respinta l’istanza di sospensione.

All’esito della pubblica udienza del 19 gennaio 2018 la causa veniva decisa.

In ricorso deve essere accolto stante la fondatezza del terzo motivo con il quale il ricorrente deduce la violazione dell’art. 59 del RDM stante la genericità della contestazione disciplinare.

In detta sede il ricorrente espone che tanto la contestazione degli addebiti dell’11 novembre 2005 quanto il provvedimento sanzionatorio, non conterrebbero riferimenti alla disposizione violata, non specificherebbero la condotta oggetto di valutazione sotto il profilo disciplinare né risulterebbero specificate le circostanze di tempo e di luogo del fatto se non la sola data della presunta infrazione.

Procedendo allo scrutinio del merito della suesposta censura deve in via preliminare riconoscersi che in tema di “procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (ivi compreso il personale militare), l’Amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere” (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 14 aprile 2015, n. 5419).

Tuttavia, come riaffermato dalla più recente giurisprudenza, “la discrezionalità amministrativa non può tradursi in arbitrio e deve essere sempre esercitata nel rispetto delle leggi e dei principi cardini che governano l’ordinamento” e deve esplicarsi nel rispetto “dei limiti entro cui l’ordinamento consenta una scelta ponderata che tenga conto di tutti gli interessi in gioco al fine di concretizzare l’interesse pubblico” (TAR Abruzzo, Pescare, 24 ottobre 2017, n. 303).

Coerentemente con tale principio “la giurisprudenza amministrativa ritiene che il criterio di proporzionalità fra il fatto contestato al pubblico dipendente e la sanzione comminabile, sia proiezione del generale principio di ragionevolezza che deve improntare in ogni materia l’azione dell’Amministrazione e costituisce un limite invalicabile per la libertà di apprezzamento di cui la stessa Amministrazione dispone in sede disciplinare” (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 1 luglio 2009, n. 4249).

Le scelte discrezionali dell’Amministrazione in materia disciplinare non sono, quindi, insindacabili ma sono soggette al vaglio del giudice amministrativo ogni qual volta siano rilevabili evidenze tali da palesare, ancorché sotto il solo profilo sintomatico, una distorsione nell’esercizio del potere attribuito.

Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il complessivo operato dell’Amministrazione palesi il travalicamento di quei canoni di imparzialità, proporzionalità e ragionevolezza che ne delimitano l’ambito di scelta.

Circa la specifica censura dedotta dal ricorrente con il capo d’impugnazione in disamina (3° motivo), deve preliminarmente evidenziarsi che, nonostante la stessa venisse formulata con ricorso gerarchico proposto il 30 dicembre 2015 avverso il definitivo provvedimento disciplinare, il decreto di rigetto del 16 gennaio successivo, oggetto di impugnazione nel presente giudizio, omette sul punto ogni considerazione e difesa.

In detta sede, infatti, l’Autorità gerarchica, nel richiamare (e confutare) le censure del ricorrente (pag. 2 del provvedimento di rigetto), in merito alla dedotta “violazione degli artt. 58 – 59 del D.P.R. n. 545/1986” si limita unicamente ad evidenziare la tempestività dell’avvio del secondo procedimento disciplinare senza nulla argomentare circa la dedotta genericità degli addebiti.

Quanto al merito della questione si rileva che, come anticipato, l’Amministrazione procedeva alla contestazione degli addebiti richiamando gli artt. 66 e ss. del RDM e l’art. 15 della L. n. 382/1978, che disciplinano unicamente il procedimento teso all’irrogazione della sanzione di corpo della consegna di rigore senza definire le condotte passibili di tale misura.

Solo in sede di adozione della sanzione si precisa che la sanzione veniva inflitta per la violazione dell’art. 21 del RDM.

Tale norma, rubricata “Doveri propri dei superiori” prevede al primo comma che “il superiore deve tenere per norma del proprio operato che il grado e l’autorità gli sono conferiti perché siano impiegati ed esercitati unicamente al servizio ed a vantaggio delle Forze armate e per far osservare dai dipendenti le leggi, i regolamenti, gli ordini militari e le disposizioni di servizio. Per primo egli deve dare l’esempio del rispetto della disciplina e della rigorosa osservanza dei regolamenti: dovere tanto più imperioso quanto più è elevato il suo grado”.

Al comma successivo specifica in cosa consistano detti doveri precisando che il superiore deve:

a) rispettare nei rapporti con gli inferiori la pari dignità di tutti ed informare sempre le proprie valutazioni a criteri di obiettività e giustizia;

b) evitare, di massima, di richiamare in pubblico il militare che ha mancato. Per riprenderlo, sempre che sia possibile, deve chiamarlo in disparte e usare, nel richiamo, forma breve ed energica, riferendosi unicamente al fatto del momento;

c) approfondire la conoscenza dei dipendenti, valutarne le precipue qualità individuali e svilupparne la personalità;

d) provvedere all’istruzione militare del personale e attuare le misure intese a promuovere l’elevamento culturale, la formazione della coscienza civica, la preparazione professionale e la consapevole partecipazione;

e) curare le condizioni di vita e di benessere del personale;

f) assicurare il rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione per salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti;

g) accordare i colloqui richiesti, anche per motivi di carattere privato o familiare, nelle forme stabilite e provvedere ad una sollecita valutazione delle istanze presentate nei modi prescritti;

h) tenere in ogni occasione esemplare comportamento ed agire con fermezza, comprensione ed imparzialità;

i) porre tutte le proprie energie affinché l’inferiore possa essere messo nella condizione migliore per eseguire l’ordine avuto”.

La condotta contestata la ricorrente (consistente come anticipato nell’aver violato il “dovere di effettuare i controlli previsti sul dipendente personale nell’esecuzione di un servizio di particolare rilevanza”, ulteriormente specificato nell’aver omesso di accertare “che il personale delle Ditte autorizzate all’accesso fosse debitamente accompagnato dal personale a tal fine preposto”) non rientra in alcuna delle fattispecie elencate al secondo comma del richiamato art. 21 dovendo pertanto essere ricondotta ai contenuti del comma precedente ove viene genericamente affermato che incombe sul superiore il dovere di “far osservare dai dipendenti le leggi, i regolamenti, gli ordini militari e le disposizioni di servizio”.

La genericità della richiamata formulazione richiede che la contestazione della relativa violazione si caratterizzi per una puntuale descrizione dell’omissione addebitata in coerenza con quanto stabilito dall’art. 58, comma 2, del RDM ove è affermato il principio in base al quale il rapporto disciplinare “deve indicare con chiarezza e concisione ogni elemento di fatto obiettivo, utile a configurare esattamente l’infrazione”.

In coerenza con tale principio il successivo art. 59, comma 5, del RDM afferma che “la motivazione deve essere redatta in forma concisa e chiara e configurare esattamente l’infrazione commessa indicando la disposizione violata o la negligenza commessa e le circostanze di tempo e di luogo del fatto”.

Nel caso di specie, nessuno di detti elementi trova chiara e concisa esposizione nella motivazione dell’impugnato provvedimento.

Quanto alla condotta contestata, come più volte evidenzaito, viene addebitato al ricorrente che “non si accertava che il personale delle Ditte autorizzate all’accesso fosse debitamente accompagnato dal personale a tal fine preposto secondo le norme e disposizioni di sicurezza che regolano l’accesso ai comprensori del Raggruppamento Unità Difesa”.

Da tale articolato motivazionale si ricava che l’accesso in questione avveniva ad opera di soggetti autorizzati, con modalità prestabilite il cui rispetto era assicurato dal “personale a ciò preposto” e non dal ricorrente sul quale gravava unicamente un onere di vigilanza circa l’operato dei sottoposti.

Chiarito nei suesposti termini il contenuto del dovere in ipotesi violato, deve rilevarsi che non è contestato da parte dell’Amministrazione che al ricorrente, in quella data in servizio quale Ufficiale di Picchetto, fossero affidati compiti di supervisione e controllo di tutte le attività di caserma, incompatibili con una statica presenza in prossimità degli accessi all’installazione militare.

Né, d’altra parte, è contestato al ricorrente di essersi trovato, in concomitanza con la rilevata violazione, in luoghi non consentiti o impegnato in attività estranee alle mansioni al medesimo affidate.

Allo steso modo non è contestato o comprovato, sulla base degli scarni contenuti dei provvedimenti impugnati, che il ricorrente abbia omesso di ribadire al “personale a ciò preposto” i contenuti delle disposizioni che regolano “l’accesso ai comprensori del Raggruppamento Unità Difesa” oggetto, in ogni caso, di doverosa conoscenza da parte di questi ultimi.

Gli atti impugnati, infine, non contengono alcuna indicazione circa “le circostanze di tempo e di luogo del fatto” limitandosi a precisare che la mancanza addebitata veniva “commessa il 26 agosto 2005” in qualità di “Maresciallo di picchetto”.

I suesposti profili di legittimità comprovano che la sanzione impugnata è priva di un esaustivo supporto motivazionale: vizio che tradisce l’incompletezza dell’istruttoria sulla base della quale veniva accertato il fatto disciplinarmente rilevante.

Per tale ragione deve ritenersi che i provvedimenti impugnati, in quanto adottati in contrasto con i principi che presiedono il corretto esercizio dell’azione disciplinare e regolano il giusto procedimento, debbano essere annullati (ex multis, TAR Friuli Venezia Giulia, 1 marzo 2016, n. 60).

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 1.000,00 oltre oneri di legge.

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