Un Primo Maresciallo dell’ Esercito Italiano chiese di essere trasferito presso un altro ente per motivi familiari. L’istanza ottenne il parere favorevole del proprio comandante, ma la restante catena gerarchica espresse parere negativo.
Il parere favorevole del proprio comandante, paradossalmente, legittimerà la successiva conversione del trasferimento “d’autorità” in trasferimento a “domanda”.
Il militare presentò un’istanza di cessazione anticipata dal servizio permanente effettivo evidenziando che qualora non fosse stata accolta la sua domanda di cessazione anticipata , il trasferimento gli avrebbe risolto “parzialmente e temporaneamente i problemi familiari esistenti”.
La domanda fu corredata dai pareri contrari della catena gerarchica, fatta eccezione per il parere favorevole del comandante del reparto .In seguito il militare presentò istanza di revoca della domanda di dimissioni, accolta favorevolmente dall’ Amministrazione e nel febbraio 2004 la stessa amministrazione né dispose il trasferimento d’ autorità presso la Scuola di amministrazione e commissariato in Maddaloni.
Poco tempo dopo il trasferimento di autorità fu riformato in trasferimento a domanda. Il militare allora si rivolse al Tar, poiché era sua convinzione che i pareri contrari emessi dalla catena gerarchica e le sopravvenute necessità organizzative esposte dall’Amministrazione nel 2004, denotassero che il trasferimento avvenne non in accoglimento della domanda presentata dal ricorrente, ma d’autorità, in ossequio alle nuove esigenze organizzative.
Il Tar accolse il ricorso. Il Ministero della difesa impugnò la sentenza del Tar evidenziando che non tutti i pareri espressi dalla catena gerarchica furono negativi, dato che il comandante del reparto in cui il sottufficiale prestava servizio si era espresso in senso favorevole al trasferimento. Inoltre lo Stato maggiore venne a conoscenza dell’istanza di trasferimento dell’interessato solo dopo aver che aveva emanato il provvedimento d’ autorità, procedendo quindi in autotutela, a riformare il provvedimento originario.
Quanto alla esigenze organizzative sopravvenute, lo Stato maggiore evidenzò di aver proceduto parallelamente alla individuazione di una vacanza organica nella sede di Maddaloni e che, una volta venuto a conoscenza della domanda presentata dal Primo maresciallo, intervenne in attuazione di quanto disposto dall’articolo 1, comma 136 della legge n. 311 del 2004 che prevede la possibilità di agire in autotutela per conseguire risparmi finanziari.
Il Primo Maresciallo nel settembre 2019 presentò una memoria ribadendo i motivi del ricorso di primo grado, chiedendo al Consiglio di Stato la conferma della sentenza del Tar, poiché i motivi organizzativi che determinarono la conoscenza ritardata da parte dello Stato maggiore della domanda di trasferimento , non incisero sul fatto che il trasferimento d’autorità poi revocato fosse stato adottato per esigenze organizzative dell’amministrazione. Nella memoria evidenziò anche l’inapplicabilità al caso di specie dell’articolo 1, comma 135, della legge n. 311 del 2004.
Il Ministero della difesa depositò la propria memoria il successivo ottobre 2019.
Stralcio di sentenza del Consiglio di Stato
Il ricorso di primo grado ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 4 della legge n. 241 del 1990, del decreto ministeriale 16 settembre 1993, n. 603 e l’eccesso di potere per il mancato rispetto del termine di 240 giorni per la definizione del procedimento di trasferimento a domanda e per l’utilizzazione successiva dell’istanza di trasferimento dopo aver già proceduto attraverso il trasferimento d’autorità. Viene anche lamentato che non siano state consentite controdeduzioni.
Il Tar – sostiene il Collegio – ha correttamente ritenuto che l’Amministrazione, anche oltre il termine fissato per la conclusione del procedimento di trasferimento a domanda, potesse intervenire in via di autotutela in presenza di elementi sopravvenuti.
Ha tuttavia accolto il ricorso in ragione del fatto che, sia i pareri contrari al trasferimento a domanda espressi dai diversi livelli gerarchici dell’Amministrazione sia le sopravvenute necessità organizzative evidenziate dalla stessa Amministrazione, dovessero far escludere che il trasferimento fosse avvenuto per effetto dell’istanza presentata dal ricorrente.
In particolare, il giudice di primo grado ha sottolineato che gli effetti economici del trasferimento di autorità non possono essere esclusi solo perché le esigenze dell’Amministrazione coincidono con quelle dell’interessato.
Il Collegio ritiene non condivisibile tale impostazione. In primo luogo, l’Amministrazione appellante ha chiarito che non tutti i pareri resi della catena gerarchica fossero di segno negativo. Inoltre, anche dopo l’istanza originaria di trasferimento, il ricorrente aveva manifestato il proprio favore al trasferimento presso una sede di lavoro situata a Maddaloni.
In ogni caso, appare dirimente che l’Amministrazione, venuta a conoscenza, dopo aver provveduto al trasferimento d’autorità, che il sottufficiale aveva presentato un’istanza di trasferimento nella stessa sede abbia correttamente proceduto a rivalutare l’interesse pubblico alla luce di tale elemento di novità.
Nel caso di specie – continuano i giudici – non si è in presenza di un mero gradimento, ma di un’istanza formalmente presentata già nel 2001 (mai respinta dall’Amministrazione) e sostanzialmente reiterata nel 2003. Era quindi preciso obbligo dell’Amministrazione provvedere a riformare sulla base di una nuova valutazione dell’interesse pubblico il provvedimento adottato dagli organi competenti senza essere a conoscenza di tali elementi.
Non rilevano, al riguardo, le osservazioni contenute nella memoria presentata dal Primo Maresciallo nel settembre 2019 in quanto, a prescindere dall’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004, il provvedimento di riforma trova fondamento nei principi generali sull’autotutela.
9. Alla luce di tali considerazioni l’appello deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, è respinto il ricorso di primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
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