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Iraq: pilota indisponibile ad effettuare missioni di volo – Rimpatriato e punito – Il Tar conferma la sanzione

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Ometteremo nomi e gradi per rispettare la privacy del personale coinvolto, ma cercheremo di  rendere chiara una sentenza molto complessa che è costata cara ad un ufficiale dell’ Esercito Italiano. L’alto graduato è stato rimpatriato sul finire del 2003 su disposizione del proprio  Comandante del Gruppo, dopo aver lamentato l’inidoneità dei sistemi di autoprotezione dei velivoli a bordo dei quali veniva impiegato e l’inadeguatezza dell’addestramento svolto in vista dell’impiego nel particolare ambiente operativo, manifestando la propria indisponibilità ad effettuare missioni di volo.

Nei primi mesi del  2004 il Comandante di Reggimento di appartenenza comunicava all’ ufficiale pilota l’avvio del procedimento teso all’irrogazione di una sanzione disciplinare per violazione degli artt. 4 (subordinazione), 10 (doveri attinenti al grado), 14 (senso di responsabilità, 16 (spirito di corpo) e 25 (esecuzione di ordini) del d.P.R. n. 545/1986 “Regolamento di Disciplina Militare” (di seguito RDM).

L’ufficiale presentava istanza di accesso agli atti del procedimento ,ma il Comandante di Reggimento gli negava tale diritto in quanto il D.M. 14 giugno 1995 n. 519 sottrae i “documenti inerenti i procedimenti disciplinari per l’irrogazione di sanzioni di stato e/o di corpo” al diritto di accesso. Il Comandante di Reggimento contestava quindi  i seguenti addebiti:

giunto in teatro operativo e informato della situazione locale, constatato che tale situazione configurava un “rischio” superiore a quello preventivato e ritenute, conseguentemente, più significative le già note carenze addestrative (del personale) e tecniche (Omissis), ha dichiarato la propria indisponibilità a svolgere attività operativa di volo qualora non si fosse provveduto a sviluppare preliminarmente uno specifico addestramento in area sicura e non si fossero apportate ai sistemi di autoprotezione degli (omissis) le migliorie tecniche individuate”. Il comportamento in questione appare, dettato dalla sola diversa valutazione del grado di accettabilità da attribuire al “rischio”. Ma per quanto si possa ritenere professionalmente corretto presentare al Comandante le proprie preoccupazioni e i propri timori, nel tentativo di indurlo ad assumere ulteriori misure di tutela, non è altrettanto professionalmente e militarmente accettabile il dichiarare la propria indisponibilità ad assecondare le scelte conclusive e le decisioni, appunto, del Comandante, o il subordinare la propria disponibilità al soddisfacimento di specifiche condizioni. Tale comportamento lede senz’altro la disciplina militare, attraverso la mancata osservanza di doveri attinenti alla subordinazione (art. 4 del Regolamento di Disciplina Militare), al grado (art. 10 comma 3 RDM), al senso di responsabilità (art. 14 RDM), allo spirito di corpo (art. 16 comma 1 RDM richiamato in allegato “C” all’art. 65, comma 17) e all’art. 25 dove recita che … “il militare deve astenersi da ogni osservazione tranne quelle eventualmente necessarie per la corretta esecuzione di quanto ordinato”.

Concluso il procedimento, il Comandante infliggeva 6 giorni di consegna di rigore” motivando l’irrogazione con la seguente dicitura: “inviato in missione in teatro Iracheno , con il proprio comportamento poco consapevole dell’adempimento dei doveri del proprio stato ed in particolare dell’obbedienza, con scarso senso di responsabilità con una non pronta e puntuale esecuzione degli ordini ricevuti metteva a repentaglio il buon esito della missione rendendo più difficoltoso il raggiungimento dell’obiettivo e l’adempimento del compito assegnato al Reparto. Quanto sopra aggravato dal grado rivestito dall’Ufficiale (art. 4, 10, 14 e 25 del R.D.M.)”. Leggi la sentenza del Tar a pagina 2

 

Nel 2018, la causa veniva decisa. Nel  ricorso numero  5818 del 2004 , il tar si è espresso, dichiarando infondati tutti i motivi di seguito descritti:

1.Preliminarmente si rileva che in sede di sommarie informazioni testimoniali rese all’Autorità giudiziaria, il -OMISSIS- confermava, a specifica richiesta del magistrato, i contenuti della precedente relazione trasmessa al superiore Raggruppamento.Il parere in questione, contenente una valutazione circa la “relazione tecnico disciplinare” redatta dal Comandante di Reggimento del ricorrente in merito ai fatti oggetto del procedimento disciplinare, per quanto di interesse ai fini della presente decisione, contiene:- un giudizio tecnico circa l’idoneità dei dispositivi di bordo dei velivoli impiegati e delle procedure operative atte a garantire adeguati livelli di sicurezza, nonché, una valutazione di ordine generale circa il grado di addestramento raggiunto dal personale impiegato nella specifica missione;- una valutazione circa la possibile rilevanza penale dell’accaduto;- l’affermazione per la quale, concordando con le valutazioni del Comandante di Reggimento, riteneva ricorressero gli estremi per proporre l’irrogazione di una sanzione disciplinare al ricorrente.Ciò premesso, deve evidenziarsi, sotto un primo profilo, l’irrilevanza ai fini in esame del giudizio tecnico espresso poiché privo di riferimenti specifici al ricorrente.

Nell’occasione il superiore esprimeva una valutazione di ordine generale in merito ai livelli di completezza dei dispositivi di bordo dei velivoli impiegati, all’adeguatezza delle procedure operative predisposte ed al livello di addestramento complessivamente conseguito dai componenti dell’intero contingente: giudizio, peraltro, frutto di cognizioni specialistiche in merito al quale non vengono comprovate (ancorché genericamente allegate) né l’infondatezza né l’inattendibilità. Sotto altro profilo, e precisamente circa la pretesa affermata rilevanza dei fatti oggetto di accertamento disciplinare a fini penali, il Generale si limitava a rilevarne la astratta possibilità (“può configurare …”) rimettendosi sul punto al giudizio alla competente Autorità.  Residua il terzo e ultimo degli evidenziati contenuti relazionali attribuiti al Generale, ovvero, l’affermazione per la quale, concordando con le valutazioni del Comandane di Reggimento, proponeva l’irrogazione di una sanzione disciplinare (senza, tuttavia, pronunciarsi, sulla natura ed entità della stessa).

In merito a tale specifica questione si rileva che il diritto del militare ad essere giudicato disciplinarmente secondo canoni di imparzialità è adeguatamente garantito dalla scansione procedimentale delineata dalla normativa di settore agli artt. 59 e ss. del RDM. Per quanto di interesse ai fini della presente decisione è sufficiente evidenziare che il concetto di terzietà, in tema di procedimenti disciplinari di corpo, si atteggia in maniera peculiare non richiedendo una assoluta estraneità dell’Autorità chiamata a pronunciarsi ai fatti e alle vicende dalle quali originano le contestazioni. La giurisprudenza ha, infatti, avuto modo di affermare che in tale ambito “nessuna disposizione prevede che, per la sanzione della consegna, debba esservi diversità fra il soggetto che accerta l’illecito e quello che applica la misura” (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 9 giugno 2011, n. 1488).

Tale principio (affermato in presenza di una fattispecie in cui vi era identità fra colui che stabiliva la rilevanza disciplinare della condotta attivando il relativo procedimento e l’Autorità chiamata ad infliggere la sanzione) non può che trovare applicazione anche al caso di specie in cui l’Autorità chiamata a pronunciarsi in contenzioso circa la legittimità della sanzione inflitta si è precedentemente espressa circa la mera rilevanza disciplinare della condotta contestata. A conferma di tale posizione, la richiamata giurisprudenza, chiariva che “la diversità dei soggetti è imposta per le violazioni più gravi colpite da sanzioni disciplinari di stato. In queste ipotesi il legislatore ha effettivamente sentito la necessità di garantire al massimo le esigenze di difesa dell’incolpato, prevedendo che la sanzione sia comminata da un organo terzo composto da più persone (la commissione di disciplina) diverso da quello che ha rilevato l’illecito disciplinare (cfr., con particolare riferimento agli appuntati dell’Arma dei carabinieri, art. 38, comma secondo, della legge 18 ottobre 1961 n. 1168, oggi abrogato dall’art. 2268, comma 1, n. 493, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, ma applicabile al caso di specie ratione temporis)” (sentenza n. 1488/2011, cit.).

In considerazione del fatto che il presente giudizio verte in tema di sanzioni disciplinari di corpo e non di stato (e non è prevista la costituzione di una Commissione di Disciplina), tale posizione non contraddice la posizione giurisprudenziale richiamata dal ricorrente in base alla quale “la posizione di assoluta <<terzietà>>, con assenza di qualsivoglia interesse concreto o coinvolgimento di carattere personale, dei componenti della Commissione di Disciplina, è condizione di legittimità del provvedimento da emanare; …..” (Cons. St., Sez. VI, n. 228/96)” (pag. 9 del ricorso). Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce “eccesso di potere per violazione e/o compressione del diritto di difesa. Violazione degli artt. 24 e 97 Cost. Violazione del Capo III della Legge 07.08.1990 n. 241. Violazione e falsa applicazione del punti 11 dell’all. n. 3 al D.M. 14.6.1995, nonché del titolo VI del DPR 18.7.1986 n. 545. Eccesso di potere per irrazionalità, illogicità e contraddittorietà della motivazione”.

Il ricorrente, che lamenta l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, espone che la citata nota del  2004 (recante “convocazione per procedimento”) conteneva unicamente l’indicazione delle norme che si assumeva fossero state violate omettendo la descrizione dei comportamenti che tali violazioni avrebbero determinato.

La dedotta omissione non avrebbe consentito una corretta instaurazione del contraddittorio, costringendo l’interessato all’esperimento di una accesso agli atti, peraltro, si afferma, “illegittimamente” respinto.

Il ricorrente deduce ulteriormente l’incongruità del termine a difesa di sole 48 ore assegnato al momento della contestazione degli addebiti per la nomina del difensore di fiducia in vista dell’audizione fissata per la data del 4 febbraio 2004 (poi differita al 6 successivo). La descritta condotta dell’Amministrazione avrebbe leso il diritto di difesa del ricorrente e tale vizio inficerebbe per ciò solo la legittimità del rigetto del ricorso gerarchico che tale violazione non riconosceva.

Il motivo è infondato.

L’art. 59 del d.P.R. n. 545/1986 disciplina la procedura di irrogazione della sanzione disciplinare stabilendo che “il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo e svolgersi oralmente attraverso le seguenti fasi: a) contestazione degli addebiti; b) acquisizione delle giustificazioni ed eventuali prove testimoniali; c) esame e valutazione degli elementi contestati e di quelli addotti a giustificazione; d) decisione; e) comunicazione all’interessato”.

Detta norma, definendo le fasi del procedimento disciplinare, individua l’atto iniziale del procedimento nella preliminare contestazione degli addebiti che, nella specifica materia, assolve le medesime funzioni della comunicazione di cui all’art. 7 della L. n. 241/1991 (circa la sufficienza della contestazione degli addebiti a costituire atto di avvio del procedimento disciplinare, v. TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 6 maggio 2013, n. 1157).

Premesso quanto sopra, si rileva che, nel caso di specie, le sintetiche contestazioni di cui alla citata nota del 2004 (contenente la sola indicazione delle norme violate) venivano integrate con atto  successivo  che, come già evidenziato, conteneva una puntuale ed esaustiva descrizione delle condotte ritenute di rilevanza disciplinare.

Ne deriva la pretestuosità della censura laddove si afferma che l’Amministrazione si sarebbe limitata alla “semplice indicazione delle norme per la cui violazione si era inteso procedere, omettendo del tutto l’individuazione dei comportamenti che le avrebbe ro violate” (pag. 12 del ricorso).

Quanto all’esiguità del termine a difesa assegnato, si evidenzia che l’Amministrazione, in accoglimento della richiesta avanzata dal ricorrente, prorogava il termine, inizialmente fissato in due 2 giorni, di ulteriori 2: termine che, avuto riguardo alle specificità della situazione di fatto oggetto di accertamento disciplinare, è da ritenersi sufficiente ad articolare una difesa.

Circa la dedotta illegittimità del diniego di accesso, cui il ricorrente riconduce la lesione del proprio diritto di difesa, deve in primis rilevarsi che non risulta sia stato a suo tempo esperito il rimedio tipico ex art. 25, comma 4, della L. n. 241/1990 né viene in questa sede avanzata alcuna richiesta istruttoria.

La specifica censura, inoltre, (in base alla quale il citato diniego determinerebbe di per sé l’illegittimità del provvedimento disciplinare) non è sostenuta da un concreto interesse se non quello esplicitato in ricorso a consentire una verifica circa la conformità delle contestazioni contenute nella più volte citata nota del 3 marzo 2004 con “quelle contenute nell’iniziale provvedimento di avvio del procedimento disciplinare”, ovvero, l’atto del precedente 2 febbraio (pag. 13 del ricorso): interesse insussistente trattandosi di atti entrambi notificati al ricorrente (circostanza riconosciuta a pag. 7 del ricorso).

Con il terzo motivo il ricorrente deduce “eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore sui presupposti, contraddittorietà, carenza di motivazione”.

Il ricorrente, premesso che la sanzione disciplinare impugnata sarebbe stata inflitta per inosservanza degli ordini ricevuti (art. 25), violazione del rapporto di subordinazione (art. 4) e per “comportamenti di minor livello” (pag. 27 del ricorso) contemplati agli artt. 10 (“Doveri attinenti al grado”) e 14 (“Senso di responsabilità”), deduce l’inesistenza del presupposto di fatto, costituito dall’inottemperanza agli ordini, atteso che non si sarebbe “mai opposto agli ordini ricevuti” né risulterebbe provato che li “abbia eseguiti con ritardo, approssimazione negligenza”, essendosi nell’occasione limitato ad evidenziare criticità oggettive e comprovate mosso da preoccupazione “per il buon andamento delle missioni di volo” (pag. 28 del ricorso).

Espone, altresì, che non esisterebbe la prova che l’ordine (in ipotesi) non ottemperato sarebbe stato effettivamente impartito tanto che afferma di non essere stato rimpatriato d’ufficio ma di essersi determinato, per propria scelta, “ad accettare la proposta di rimpatrio comunque avanzata dal suo superiore prima che venisse impartito l’ordine di volare” .

L’inesistenza di un ordine non eseguito determinerebbe, altresì, l’infondatezza delle contestazioni relative agli artt. 10 e 14 del RDM non potendosi rilevare a proprio carico alcuna violazione dei doveri attinenti il grado e nessuna mancanza di senso di responsabilità.

Il motivo è infondato.

Nelle narrative del ricorso il ricorrente, a ulteriore sostegno della pretesa illegittimità della sanzione, allega che i medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare costituivano, altresì, oggetto di procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.

Circa tale specifico profilo è opportuno procedere preliminarmente ad alcune precisazioni.

Il Collegio riconosce che il ricorrente, in ragione del rifiuto/mancata disponibilità a volare, veniva sottoposto a procedimento penale ex artt. 47 nn. 2 e 5 c.p.m.p. e 47 e 118 c.p.m.g. per “violazione a causa di codardia” che, come anticipato, veniva definito con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.

Tuttavia, deve precisarsi, onde evitare fuorvianti suggestioni, che ciò che in detta sede veniva ritenuto insussistente era il movente della “codardia” (ipotizzabile qualora il militare risulti “aver agito per timore di un pericolo personale al quale il colpevole aveva un particolare dovere giuridico di esporsi”) che, nell’ambito della fattispecie contestata, è “elemento strutturale della condotta” e quindi “fatto costitutivo del reato”.

La circostanza per la quale l’indisponibilità a volare manifestata dal ricorrente derivasse da considerazioni di natura tecnica e non da timore personale, pertanto, faceva venire meno quell’elemento (il movente di codardia) “deputato a trasformare una violazione disciplinare in illecito penale”.

Ne deriva che l’assoluzione del ricorrente in sede penale non comporta alcuna ricaduta in ordine alla sussistenza o meno della condotta contestata in sede disciplinare (ovvero, l’essersi dichiarati indisponibili a proseguire la missione) che risulta, invece, confermata in sede penale laddove si afferma che “se si considerano i modi e i tempi di manifestazione da parte dei piloti dell’indisponibilità a proseguire nella missione in territorio iracheno, non si può ritenere che medesimi, pur pervenendo ciascuno per proprio conto alla decisione finale e ciascuno di essi esplicitandola in forme distinte, abbiano mancato di adempiere alle doverosità loro richieste, quanto meno sotto il profilo del rispetto dei vincoli e delle esigenze disciplinari”.

La valutazione in sede penale delle modalità di manifestazione dell’indisponibilità manifestata dal ricorrente (ancorché sfociata in un giudizio di irrilevanza penale del fatto) comprova, tuttavia, l’esistenza del fatto addebitato.

Gli illustrati contenuti di detta decisione, pertanto, non consentono di considerare la condotta materiale addebitata al ricorrente come inesistente e quindi, non valutabile ad altri fini in sede disciplinare.

Quanto alla ritenuta illegittimità della sanzione comminata, il ricorrente, ribadendo argomentazioni già esposte nelle premesse in fatto e nei precedenti motivi di ricorso, afferma la fondatezza delle criticità dal medesimo rilevate e rappresentate alla scala gerarchica che, sulla base di un giudizio del tutto soggettivo, non consentivano l’effettuazione in sicurezza delle missioni di volo: condizione che legittimerebbe il rifiuto opposto.

La tesi non convince.

Circa tale specifico profilo deve rilevarsi in via preliminare che l’adeguatezza dei dispositivi tecnici di sicurezza dei velivoli e dell’addestramento del personale impiegato in missione affermata con grande enfasi dal ricorrente (valutazione che, in ogni caso, esula dalle finalità del presente giudizio) è smentita dalla scala gerarchica con argomenti cui l’interessato oppone unicamente una propria personale percezione.

Quanto al dedotto travisamento dei fatti, all’insufficienza del supporto motivazionale ed alla pretesa contraddittorietà dell’agire amministrativo, si precisa che al ricorrente, come già esposto, veniva contestata “l’indisponibilità ad assecondare le scelte conclusive e le decisioni, appunto, del Comandante [aventi indubbiamente natura di ordini, ndr.], o il subordinare la propria disponibilità al soddisfacimento di specifiche condizioni” e, coerentemente con tali premesse, con il provvedimento conclusivo, veniva addebitata “una non pronta e puntuale esecuzione degli ordini” e tale inottemperanza/mancata disponibilità, come già rilevato, trovava conferma in sede penale.

In ogni caso, a comprova della pretesa falsità delle affermazioni dei superiori gerarchici (il cui accertamento non competerebbe a questo giudice) il ricorrente non allega alcun principio di prova se non l’illustrata personale ricostruzione dell’episodio (adesione ad un invito).

Nessun rilievo nei sensi invocati dal ricorrente può, inoltre, rivenirsi nella allegata circostanza che in sede di rigetto del ricorso gerarchico non veniva comprovato, da parte di quell’Autorità, che un ordine fosse stato formalmente impartito atteso che l’onere della prova circa i fatti allegati in giudizio a sostegno della domanda ex art. 63 c.p.a incombe sul ricorrente (nel caso di specie l’invito rivolto al ricorrente di fare rientro in patria).

Tuttavia, deve evidenziarsi in punto di fatto che non è controverso che il ricorrente venisse inviato in territorio estero per effettuare missioni di volo; è riconosciuto dall’interessato che in più occasioni rappresentava criticità che non avrebbero garantito un impiego in sicurezza ed è, infine, incontestabile che il ricorrente sia rientrato anzitempo in Italia privando del proprio contributo il Reparto impegnato in una delicata missione in ambiente critico.

Allo stesso modo non è smentito che la missione aveva esecuzione ad opera dei restanti piloti ivi comandati (che sopperivano all’assenza del ricorrente) e non viene allegato che, nel corso delle numerose ore di volo in ambiente operativo sensibile e sicuramente ad altro rischio (fattore fisiologico ed ineliminabile in simili contesti), si siano mai registrati inconvenienti dovuti a scarso addestramento o lacune ai sistemi di sicurezza.

A fronte di tali evidenze il ricorrente non comprova, né allega in ricorso, la propria incondizionata disponibilità a volare.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del DPR 545/1986; eccesso di potere per illogicità e difetto di motivazione” evidenziando come i provvedimenti impugnati non chiarirebbero quali specifici comportamenti sarebbero sussumibili nelle ipotesi tassative per le quali il RDM consente l’inflizione della consegna di rigore.

Il ricorrente espone che ai sensi dell’art. 65 del RDM “la consegna di rigore si applica per le infrazioni specificamente indicate nell’allegato C al presente regolamento”.

Allega, altresì, che nei propri confronti sarebbe stata attivata la procedura di cui agli artt. 66 e ss. del RDM poiché veniva ipotizzata la violazione dell’art. 16 dello stesso RDM “con rimando al punto 17 dell’Allegato C”.

Ciò nonostante la sanzione impugnata non gli veniva irrogata per violazione dell’art. 16, che il ricorrente considera “unica [fattispecie, ndr] per la quale, in astratto, era giustificabile l’attivazione della specifica procedura” (pag. 42 del ricorso) ma degli artt. 4, 10, 14 e 25 violando in tal modo l’art. 65 del RDM a norma del quale “la consegna di rigore si applica per le infrazioni specificamente indicate nell’allegato C al presente regolamento”.

Afferma, infine, il ricorrente che nessuna delle contestazioni mossegli sarebbe riconducibile ai 55 comportamenti elencati nel citato Allegato “C” e che il provvedimento impugnato farebbe riferimento in modo “del tutto generico” agli artt. 56 e 57 del RDM e non agli artt. 65 e ss. che regolamentano la procedura per l’inflizione della consegna di rigore.

Il motivo è infondato.

Preliminarmente si rileva che il provvedimento impugnato richiama nelle premesse l’art. 14 della L. n. 382/1978 e gli artt. 56 e 57 del RDM.

La citata norma di legge specifica quali sono le sanzioni disciplinari di corpo e in cosa consistano; l’art. 56 del RDM enuncia il generale principio per il quale “non possono essere inflitte sanzioni disciplinari diverse da quelle previste dalla legge” mentre, il successivo art. 57, precisa che “costituisce infrazione disciplinare punibile con una delle sanzioni disciplinari di corpo, salva l’applicabilità di una sanzione disciplinare prevista dalla legge di Stato, ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti militari, o conseguenti all’emanazione di un ordine”: si tratta, pertanto, di richiami a disposizioni di carattere generale assolutamente pertinenti al procedimento attivato.

Quanto alle specifiche contestazioni, come rilevato in ricorso, i riferimenti sono ai più volte richiamati artt. 4, 10, 14 e 25 senza richiamo espresso all’art. 16 poiché la violazione di tale norma, inizialmente contestata, veniva ritenuta insussistente in sede di adozione del provvedimento conclusivo.

Tuttavia è priva di fondamento l’affermazione per la quale l’art. 16, “Spirito di corpo” rappresenterebbe l’unica fra le disposizioni contestate per la violazione della quale sarebbe prevista la consegna di rigore.

Il citato allegato “C” al RDM specifica i 55 “comportamenti che possono essere punti con la consegna di rigore” con indicazione a margine della specifica norma dello stesso RDM cui è riconducibile la condotta.

Fra questi figurano:

– “3. Violazione rilevante dei doveri attinenti al grado ed alle funzioni del proprio stato (art. 10)”;

– “22. Negligenza o imprudenza o ritardo nell’esecuzione di un ordine o nell’espletamento di un servizio secondo le modalità prescritte (articoli 13, 14 e 25)”.

Le fattispecie contestate sono, quindi, espressamente contemplate nell’elenco di cui all’Allegato “C”.

L’astratta riconducibilità delle condotte del ricorrente alle previsioni in relazione alle quali l’art. 66 RDM, contrariamente a quanto affermato in ricorso, legittima l’avvio del procedimento teso adozione della sanzione della consegna di rigore.

Con riferimento, infine, alla pretesa incongruità del successivo esito disciplinare (entità della sanzione) si rileva che “come pacificamente affermato in giurisprudenza – nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, l’Amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere e ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento. Conseguentemente, il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest’ultimo sostituire le proprie valutazione a quelle operate dall’Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente” (TAR Abruzzo, Pescara, 24 giugno 2013, n. 346).

Come ampiamente già esposto, il ricorrente non introduce in giudizio alcun elemento, ictu oculi rilevabile, che comprovi, ancorché in via sintomatica, un distorto esercizio del potere esercitato se non una ricostruzione della vicenda basata unicamente su giudizi e percezioni personali.

Nel caso di specie, a fronte della grave condotta contestata, il provvedimento sanzionatorio deve ritenersi immune da vizi di illogicità e irragionevolezza.

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto.

La limitata attività difensiva dell’Amministrazione determina la compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità del ricorrente, nonché, di qualsiasi altro dato riferito alla sanzione riportata.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

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