- 21 marzo 2025 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo
All’inizio dell’anno, quasi tutti i quotidiani hanno pubblicato un articolo sul prospetto delle pensioni del 2025, prevedendo una diminuzione degli importi rispetto a chi era uscito nel 2024. Con un articolo pubblicato il 29 novembre, sostenevamo che tale asserzione era sbagliata.
In questi giorni i titoli sulle proiezioni pensionistiche sono totalmente diversi “pensioni più alte per chi lascia il lavoro nel 2025” “pensioni più ricche nel 2025” e in effetti il trattamento di pensione di chi esce quest’anno è superiore allo quello dell’anno scorso e andiamo a spiegare il perché.
La riforma Dini del 1995 ha introdotto il sistema contributivo per tutti che è un sistema di calcolo basato esclusivamente sul montante contributivo, cioè la somma dei contributi previdenziali accantonati dal 1996 alla data di pensionamento.
L’ammontare dei contributi di ogni anno, determinato dall’aliquota di computo che è pari al 33% della retribuzione percepita per i lavoratori dipendenti (9,19% per lavoratori privati e 8,80% per i dipendenti pubblici e la differenza a carico del datore di lavoro), determina il montante contributivo che si traduce in rendita pensionistica attraverso i cd. coefficienti di trasformazione cha variano a seconda dell’età dell’assicurato al momento del pensionamento (più si è avanti con l’età maggiore sarà il coefficiente e quindi maggiore sarà la rendita).
Col decreto del ministero del lavoro n. 436/2024 sono stati rivisti i coefficienti per il biennio 2025-2026 che sono inferiori a quelli del biennio 2023-2024.
Pertanto, la quota C, relativa alla quota parte calcolata col contributivo di un trattamento pensionistico determinato col sistema misto, è inferiore per coloro che sono usciti quest’anno rispetto a chi è cessato l’anno prima, ma le valutazioni di inizio anno non avevano tenuto conto di altri fattori che determinano il trattamento.
Infatti, non si era valutato che il montante contributivo, essendo costituito da contributi versati indietro negli anni che avrebbero quindi un valore inferiore alla data di pensionamento, è annualmente rivalutato in base all’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (il cd. tasso di capitalizzazione).
Tale rivalutazione avviene in base al tasso fissato ogni anno dall’Istat e consente di conservare il potere di acquisto, ma essendo in misura pari alla variazione del Pil verificatasi nei cinque anni precedenti e non all’inflazione, sale oppure scende in misura proporzionale all’eventuale crescita o decrescita dall’economia e per questo non sempre riesce a garantire il pieno recupero del potere di acquisto
È opportuno evidenziare che il tasso può risultare anche negativo, come è successo nel 2014, ma l’Inps, in via amministrativa, scongiurò la svalutazione sostenendo che la legge n. 335/1995 non prevedesse l’applicazione del tasso in senso negativo.
La tesi dell’Inps è divenuta norma col d.l. n. 65/2015 che ha modificato la legge n. 335/1995, prevedendo che in ogni caso il coefficiente di rivalutazione non può essere inferiore a 1, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.
La notizia di questi giorni è che l’Inps, con il messaggio interno numero 914 del 2025, ha dichiarato che chi andrà in pensione nel 2025 avrà un assegno migliore rispetto a chi è andato in pensione l’anno precedente che è in netto contrasto con quanto accaduto a inizio anno, quando, dopo il consueto aggiornamento biennale dei coefficienti di trasformazione, l’idea diffusa era quella di un peggioramento degli importi delle pensioni.
Le pensioni dal 2025, come anticipato con un articolo del 29 novembre, sono di fatto aumentate rispetto all’anno precedente.
Nello specifico il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale, nei cinque anni precedenti il 2024, è risultato pari a 0,036622 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è pari a 1,036622 che fungerà da parametro per rivalutare il montante acquisito per i lavoratori in pensione tra il 1 gennaio 2025 ed il 31 dicembre 2025.
Nel caso specifico del confronto tra le pensioni con decorrenza nel 2024 e 2025 bisogna tenere conto, tra l’altro, che chi è cessato dal servizio dal 2 gennaio 2025 beneficerà di un adeguamento del trattamento in base agli aumenti che saranno previsti dal prossimo contratto per il biennio 2025-2027 (stimati al 5,4% dalla relazione tecnica allegata alla legge di bilancio che ha già stanziato le risorse per il prossimo contratto), in quanto cessato nel periodo di vigenza contrattuale. Lo specchio a seguire indica i trattamenti col moltiplicatore relativi a un Lgt con 60 anni di età.