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Pensioni. Dal 2023 , per la prima, volta aumentano i coefficienti di trasformazione

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PENSIONI DAL 2023, PER LA PRIMA VOLTA I COEFFICIENTI DI TRASFORMAZIONE AUMENTANO ANZICHE’ DIMINUIRE PER EFFETTO DEL COVID-19.

15 dicembre 2022 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo

In precedenti articoli è stato esplicitato l’effetto della pandemia sulla previdenza per effetto del calo dell’aspettativa di vita che, in sintesi, si è tradotto in un blocco dei requisiti del diritto al trattamento di pensione per il biennio 2023/2024 e quello negativo sul trattamento di quiescenza, in quanto il montante contributivo accumulato subisce una minore rivalutazione per effetto di un minore tasso di capitalizzazione che è calcolato sull’andamento della crescita del Pil di 5 anni. Per esempio, per le pensioni con decorrenza dal 2023 al montante accumulato al 31/12/2021 sarà applicato una rivalutazione della media del Pil 2016/2021 che quindi, incamera il Pil del 2019 al limite della recessione (+ 0.1%) e quello del 2020 negativo per la pandemia (- 8.9%), ma anche quello positivo del 2021 (+ 6.7%)

Oggi, parliamo degli effetti del covid-19 sui coefficienti di trasformazione che sono dei valori che traducono in pensione il montante contributivo (ossia la somma dei contributi) accumulato alla data del pensionamento, come previsto dal sistema contributivo introdotto dalla legge n. 335/95 (c.d. legge Dini). Un coefficiente che cresce con l’aumentare dell’età, premiando di fatto quanti vanno in pensione più tardi, in quanto il principio alla base sistema contributivo è che più tardi si andrà in pensione maggiore sarà l’importo del trattamento che potrà essere ottenuto, perché minore sarà la durata della vita (potenziale) del beneficiario.

I coefficienti di trasformazione variano dai 57 ai 71 anni, ma al di sotto dei 57 viene applicato il coefficiente previsto per questa fascia anagrafica e sono revisionati, automaticamente ogni 2 anni, sulla base dell’andamento dell’aspettativa di vita per far fronte alle dinamiche demografiche.

Tali coefficienti si applicano alla quota contributiva della pensione (la cosiddetta quota “C”) e quindi la revisione riguarda:

coloro ai quali si applica interamente il metodo di calcolo contributivo, dunque sprovvisti di anzianità al 31 dicembre 1995;
 chi aveva meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
 chi aveva almeno 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, per la quota di anzianità maturata dal 1 gennaio 2012.

Una precisazione, per coloro che erano nel sistema retributivo prima dell’introduzione del sistema contributivo per tutti (legge Fornero vigente dal 1/1/2012), la quota “C” si applica a prescindere se tale personale, alla data del 31/12/2011, abbia o meno raggiunto la massima anzianità contributiva corrispondente all’aliquota dell’80%. Ciò, sicuramente a tutto il personale collocato in congedo dal 2012 al 2014, mentre dal 2015, per effetto dell’introduzione del doppio calcolo, è possibile, ma alquanto improbabile, che dal raffronto dei due sistemi di calcolo emerga che quello totalmente retributivo sia superiore a quello introdotto dalla legge Fornero. Pertanto, di massima, da questo raffronto scaturisce che il trattamento meno favorevole tra attribuire sia quello composto da tre quote (quota “A” fino al 31/12/95 – quota “B” dal 1/1/96 al 31/12/11 e quota “C” dal 1/1/12 al congedo).

La legge n. 335/95 ha previsto dei coefficienti di trasformazione, stabilendo però che rimanessero in tale misura fino al 2009 e che dal 2010 potessero essere rivisti sulla base dell’andamento dell’aspettativa di vita, per la stabilizzazione del sistema pensionistico italiano.

Dal 2010 all’ultimo biennio 2021-2022 tali coefficienti sono sempre diminuiti, in quanto le aspettative di vita sono sempre aumentate, con conseguente riduzione della quota “C”, in maniera più intesa dal 2010 al 2018 e meno decisa nel biennio 2019-2020 e 2021-2022.

Col Decreto Direttoriale del primo dicembre 2022 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, emanato di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sono stati rivisti i coefficienti di trasformazione per il biennio 2023-2024 che, per la prima volta, aumentano anche se di poco. Tale incremento è interamente da attribuire all’aumento della mortalità e dunque alla riduzione della speranza di vita che si può certamente attribuire al covid-19.

Pertanto, la pensione del personale che cesserà dal servizio nel biennio 2023-2024 anziché diminuire, come nei precedenti bienni, aumenterà anche se di non molto. Con le seguenti tabelle si mostra l’entità dell’aumento, raffrontando una cessazione nel 2022 e una nel 2023 col medesimo montante.

 

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