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No a rimborso spese legali per donna militare ingiustamente accusata dai superiori

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Un finanziere donna,  è stata sottoposta a procedimento penale dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- per i reati di calunnia, omissione di atti d’ufficio e rifiuto di obbedienza per essersi astenuta dal compilare la documentazione per l’uscita dell’autovettura di servizio e porsi alla guida della stessa.

In ordine ai medesimi fatti l’interessata è stata contemporaneamente sottoposta a procedimento penale militare instaurato dalla Procura Militare di -OMISSIS- per il reato di disobbedienza aggravata.


I predetti procedimenti si sono conclusi rispettivamente il 12 marzo 2012, con l’archiviazione del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS-, e nel febbraio 2013, con sentenza di assoluzione del Tribunale Militare di -OMISSIS-, ex art. 530, comma 1, c.p.p., per insussistenza del fatto.

Nel novembre 2013 la donna appartenente alla Guardia di Finanza- ha quindi presentato all’Amministrazione di appartenenza domanda di rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa nell’ambito dei procedimenti penali instaurati dinanzi al Tribunale ordinario e al Tribunale militare , ai sensi dell’art. 18 del D.L. n. 67 del 1997, come convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 1997.

Il successivo gennaio 2014 l’Amministrazione ha comunicato all’interessata il preavviso di diniego dell’istanza , rilevando, quale motivo ostativo, la mancata riferibilità della condotta al perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente di appartenenza. L’istanza è stata quindi rigettata.

La donna ha quindi proposto ricorso gerarchico, respinto con determinazione del Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza . In seguito ha proposto istanza di riesame in  in relazione al provvedimento di diniego e successivamente lo ha impugnato dinanzi al Tar per la Lombardia, sede di Milano, rivendicando il rimborso delle spese legali affrontate per la propria difesa in giudizio, sul presupposto dell’assenza di ogni profilo di responsabilità penale in ordine ai fatti contestati.


Il Tar di Milano,ha rigettato il  ricorso, ritenendo decisiva la circostanza che l’imputazione non riguardasse lo svolgimento di un’attività direttamente connessa con i fini istituzionali dell’Ente.La finanziera non si è arresa ed ha  proposto appello.

Stralcio di sentenza del Consiglio di Stato

La Cassazione -sostengono i giudici – dando vita ad un orientamento ermeneutico consolidato, ha affermato l’esigenza che il giudizio, cui la richiesta di rimborso inerisce, riguardi procedimenti giudiziari strettamente connessi all’adempimento dei compiti istituzionali.

Una diversa conclusione condurrebbe a riconoscere la spettanza del beneficio in ogni ipotesi di reato proprio, anche laddove il fatto addebitato esuli dai doveri istituzionali, senza che possa ravvisarsi un collegamento, diretto e di tipo oggettivo, con l’interesse dell’Amministrazione

Lo scopo della norma è quello di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio, nell’intento di impedire ‘che il dipendente statale tema di fare il proprio dovere’ e  tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’Amministrazione dalle spese legali sostenute per difendersi dalle accuse di responsabilità, poi rivelatesi infondate.

Ricostruita la ragione ispiratrice della predetta disciplina, ne consegue come del tutto inconferente si riveli il richiamo, operato nell’atto di appello, agli artt. 11 e 12 del D.P.R. n. 461/2001 sulla riconducibilità a cause di servizio di lesioni, infermità o aggravamenti di lesioni o infermità preesistenti, riscontrate in capo al dipendente appartenente ad amministrazioni pubbliche.

Le condotte che hanno portato alla contestazione dei reati di calunnia, omissione o rifiuto di atti d’ufficio, seppur riconosciute come non rilevanti penalmente, non sono in ogni caso riconducibili ad esigenze di servizio, non trovando immediata e diretta riferibilità nella volontà dell’Ente di appartenenza.



Anzi, l’astenersi dal porsi alla guida di un mezzo militare non può che rendere ipotizzabile in capo all’interessata una violazione dei doveri d’ufficio, se si consideri che la stessa era munita di apposita patente di guida militare. Ne deriva l’impossibilità di ravvisare un nesso tra l’agire della Sig.ra -OMISSIS- e la volontà dell’Amministrazione, in ragione del dissolvimento del rapporto di immedesimazione organica.

La ricorrente ha infatti esposto di aver ottenuto con determinazione dirigenziale n. 1489/D del 27 ottobre 2014 il riconoscimento della dipendenza da fatti di servizio della patologia riscontrata, nella specie reazione ansioso depressiva. Ha quindi lamentato la circostanza secondo cui l’Amministrazione avrebbe aderito al parere espresso dal Comitato di Verifica sulle Cause di Servizio in ordine al riconoscimento della valenza patogenetica del servizio prestato, salvo discostarsene successivamente e senza che venisse resa un’adeguata motivazione nell’ambito del procedimento sull’istanza di rimborso delle spese legali.

A giudizio dell’appellante sia l’Amministrazione di appartenenza, che il Tar avrebbero operato una riedizione illegittima del riconoscimento del nesso causale effettuato dall’organo tecnico preposto, stravolgendolo implicitamente.

Nell’odierno giudizio viene in questione la spettanza del rimborso delle spese legali sostenute dal pubblico dipendente, ai sensi dell’art. 18 co. 1 del D.L. n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997, che testualmente dispone: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le Amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.

Come recentemente chiarito anche dalla sentenza n. 8137/2019 di questa Sezione, la norma subordina la spettanza del beneficio ad una duplice circostanza:

a) l’esistenza di un giudizio, promosso nei confronti del (e non anche dal) dipendente, conclusosi con un provvedimento che abbia definitivamente escluso la sua responsabilità;

b) la sussistenza di un nesso tra gli atti e i fatti ascritti al dipendente e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.

Ulteriore presupposto cui l’art. 18 ricollega il riconoscimento del rimborso delle spese legali è che il dipendente abbia agito in nome, per conto ed anche nell’interesse dell’Amministrazione; solo in tal caso, infatti, è possibile ravvisare il nesso di immedesimazione organica in ordine ai fatti o agli atti oggetto del giudizio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137).

La Cassazione, dando vita ad un orientamento ermeneutico consolidato, ha affermato l’esigenza che il giudizio, cui la richiesta di rimborso inerisce, riguardi procedimenti giudiziari strettamente connessi all’adempimento dei compiti istituzionali. Ed infatti, lo specifico interesse che deve necessariamente sussistere affinché l’Amministrazione possa essere chiamata a tenere indenne dalle spese legali il proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, consiste nella circostanza che l’attività sia riferibile all’Ente di appartenenza, ponendosi in un rapporto di stretta connessione con il fine pubblico


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