Aurelio Visalli ha perso la vita per salvare due persone in difficoltà tra le onde alte. Per i parenti è stata fatale lʼassenza di attrezzatura
(tgcom24) “Mio marito è morto per l’incompetenza di chi l’ha mandato a salvare due ragazzi senza alcun tipo di attrezzatura”. A dichiararlo Tindara Grosso, la moglie del secondo capo della Guardia costiera di Milazzo, Aurelio Visalli, scomparso tra le onde dopo aver salvato un 15enne e una seconda persona in difficoltà. Ogni mattina ripeteva al figlio Riccardo che andava a difendere la Patria, ma, secondo Tindara, “la Patria non lo ha difeso”.
La rabbia della moglie – Abbracciata alla bara avvolta nel tricolore, Tindara confessa al Corriere della Sera tutta la sua rabbia. Ha appreso della morte del marito “solo da una tv privata, correndo su Internet, chiamando la Capitaneria”. Secondo la donna, il 40enne sarebbe morto per l’incompetenza di “chi l’ha mandato a salvare due ragazzi senza un giubbotto, senza funi, senza mezzi…”.
I due testimoni – Vassalli ha perso la vita dopo essere stato travolto da un’onda anomala, quando le due persone soccorse erano già in salvo. “Mio cognato, uomo razionale, conosceva il pericolo”, ha spiegato Francesca Grosso, moglie di Antonio Crea, comandante dei vigili di Venetico, che ha aggiunto: “Non è possibile che sia stato inghiottito da un’onda a riva. Ecco perché vorremmo parlare con i due testimoni”.
Senza attrezzatura – I due testimoni sono i colleghi che sono stati mandati insieme ad Aurelio a salvare le due persone in difficoltà tra le onde: “Li hanno mandati tutti e tre a salvare gli scampati in mutande, lasciando le divise sulla sabbia, senza attrezzi, senza funi o giubbotti. Cosa sia veramente accaduto non vogliono dirlo“, ha affermato Francesca.
La cognata della vittima spiega che ogni volta che provano a chiedere un incontro con questi due colleghi, “si chiudono le porte”. La rabbia è tanta, perché sono stati commessi degli errori forse fatali per la morte del 40enne. Per questo motivo i familiari stanno pensando all’autopsia.
La camera ardente allestita in Municipio non basta ai parenti della vittima come gesto di solidarietà: “La camera ardente c’è perché l’abbiamo chiesta io e mio marito. Dieci minuti dopo il riconoscimento, ci hanno detto di portare la salma a casa. Per loro dovevamo pure sbrigarci“, ha raccontato con sconcerto la cognata
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