Come ci si sente, a 27 anni e con tutta la vita davanti, nei panni di un possibile bersaglio quotidiano del terrorismo, e dopo aver visto le immagini dell’attentato di Levallois-Perret, con quell’auto lanciata contro sei militari uguali a te? «No, non voglio apparire presuntuoso.
E non intendo nemmeno minimizzare, ma noi militari italiani impegnati sul territorio siamo ben allenati non solo ad affrontare possibili pericoli di quel tipo, ma ad avere un occhio addestrato a intuire i veri rischi». E la paura? «Mi aiuta un carattere predisposto alla tranquillità, al controllo dei nervi». Non è roba da un ragazzo come gli altri, che incontri per le strade, sulle spiagge, in discoteca.
«Invece sono, mi sento veramente un ragazzo come tanti altri. Poi ognuno segue la propria strada. La mia adesso è questa: in piazza con la divisa, per contribuire a rendere più sicura la vita degli altri. So che può sembrare retorico, o banale, o già sentito: ma provo un grandissimo orgoglio per il lavoro che svolgo. E ai pericoli mi sento preparato. Per imparare a proteggere bene un’area italiana, sono già stato in Afghanistan e in Libano».Continua a leggere in fondo alla pagina
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