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Luogotenente si appropria dell’anticipo per rientrare dalla missione. L’ irrituale condanna

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La sentenza che vi proponiamo oggi svela un retroscena particolare circa la condanna comminata ad un militare , reo di essersi impossessato di 4.000,00€ che l’Aeronautica gli aveva anticipato per rientrare da una missione estera. Secondo il ricorso presentato in Cassazione dal Procuratore generale militare della Repubblica , il militare avrebbe dovuto scontare “realmente” diversi mesi di carcere, ma ciò non è avvenuto.

Nel 2014 il maresciallo venne condannato ad un anno e sei mesi di reclusione militare,( pena sospesa) dal Tribunale Militare di Roma, per aver commesso il reato di “Peculato”. Nel 2017 lo stesso Tribunale Militare condannò il Luogotenente dell’ Aeronautica alla pena di mesi cinque di reclusione militare per il reato di appropriazione indebita pluriaggravata perché, già effettivo e in servizio all’Ufficio dell’addetto militare dell’Ambasciata d’Italia in Riyadh ( Arabia Saudita) fu trasferito al Comando di omissis, e si appropriò, avendone il possesso in relazione al suo trasferimento, della somma complessiva di euro quattromila, corrispostagli a titolo di anticipi delle spese di rimpatrio.I giudici tennero conto delle aggravanti del grado rivestito e della commissione del fatto a danno dell’Amministrazione.


La Corte militare di appello, in riforma della sentenza del Tribunale militare di Roma dell’ 8 novembre 2017, condanò il maresciallo dell’ Aeronautica alla pena di mesi cinque di reclusione militare. Anche in questo caso la pena fu sospesa, perché, a detta dei giudici, la precedente condanna per il reato di peculato militare alla pena di un anno e sei mesi di reclusione militare, irrogata nel 2014,malgrado già condizionalmente sospesa, non era a tal fine di ostacolo, atteso che il cumulo tra le due pene consentiva, per un verso, di non incorrere nella violazione delle disposizioni di cui agli artt. 163 e 164 cod. pen. e di operare, per altro aspetto, ancora con esito positivo, il giudizio di prognosi circa la mancata futura commissione di reati.

Non è stato dello stesso avviso il Procuratore generale militare della Repubblica, che impugnando la sentenza per Cassazione, ha contestato vizio di violazione di legge nella parte relativa alla  concessione della sospensione condizionale della pena. Secondo il Procuratore, la Corte militare, nel concedere la sospensione condizionale, ovvero evitare il carcere al militare dell’Aeronautica, non aveva tenuto in considerazione la precedente sentenza del Tribunale di Roma, divenuta irrevocabile nel 2016, con la quale il maresciallo fu condannato alla pena sospesa di anni uno e mesi quattro di reclusione nonché alla multa di euro 500,00.


Il Tribunale di Roma – ha precisato il Procuratore – è già intervenuto, quale giudice dell’esecuzione, revocando con ordinanza del 2018 la sospensione condizionale concessa della Corte militare con la sentenza divenuta irrevocabile 1’8 luglio 2013 e quella successivamente concessa dal  Tribunale di Roma con sentenza irrevocabile del 2016.

Secondo il Procuratore quindi, la Corte di Appello non avrebbe dovuto applicare la “condizionale” sui cinque mesi di reclusione comminati al maresciallo, ottemperando a quanto disposto dall’art. 164, comma quarto del cod. pen. perché l’ultima condanna eccede il limite di due anni oltre il quale non è più concedibile il beneficio che è stato, invece, erroneamente riconosciuto. Inoltre – sostiene il Procuratore – siccome tra il reato comune e i reati militari non sussiste il vincolo della continuazione, espressamente escluso dalla sentenza ora impugnata, la terza condanna inflitta con questa stessa sentenza non poteva essere condizionalmente sospesa senza violare, sotto altro profilo l’art. 164, ultimo comma del codice penale.

Stralcio di sentenza della Cassazione

Secondo i giudici, il ricorso è fondato, perché la sospensione condizionale della pena era
già stata concessa una prima volta con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile nel 2013 e una seconda volta con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile nel 2016.

La fondatezza del ricorso – continuano i giudici – non comporta però la possibilità di accogliere
le richieste formulate,poiché il reato per cui si procede è estinto per intervenuta prescrizione.

Il fatto in imputazione è stato commesso nel 2011; qualificato come appropriazione indebita pluriaggravata (art. 235, commi primo e secondo, c.p.m.p.), è punito con pena edittale massima pari a tre anni, non potendosi computare, ai fini del termine di prescrizione, la circostanza aggravante comune di cui al comma secondo.
Il termine massimo di prescrizione – concludono i giudici – aumentato per effetto dell’interruzione verificatasi nei gradi precedenti, è pari ad anni sette e mesi sei, sicché il reato si è estinto alla data del 22 dicembre 2018.

In ragione dell’intervenuta estinzione per prescrizione del reato, l’impugnata sentenza di condanna deve essere annullata senza rinvio.



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