Il Vaticano e la Cei da un lato del tavolo, guidati dal giurista Giuseppe Dalla Torre, e dall’altra i rappresentanti del Governo con in testa il professor Francesco Margiotta Brogio (presidente della Commissione governativa per l’attuazione delle disposizioni dell’Accordo tra Italia e Santa Sede firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985, numero 121), stanno lavorando dall’inizio di quest’anno ad una riforma dell’assistenza spirituale agli uomini della Forze Armate per limitarne i costi. Ed è già pronta una bozza che prevede una drastica riduzione dei costi, già approvata dal Consiglio presbiteriale della diocesi castrense e dall’ordinario militare Santo Marcianò, rappresentato ai lavori dal suo vicario generale Angelo Frigerio, che anticipa all’AGI: “il risparmio previsto ammonta a quasi la metà del bilancio, scendiamo di 4,5 milioni di euro su circa 10.
“Il taglio che dovrebbe riportare entro quota 5/6 milioni di euro le spese totali dell’assistenza spirituale alle Forze Armate prevista dal Concordato del 1929 e dalla sua revisione del 1984 (di cui solo 200 mila euro per le spese effettive dell’Ordinariato inteso come Curia diocesana) è reso possibile – chiarisce monsignor Frigerio all’AGI – da una diminuzione di 46 unità (dai 204 previsti a 158) e da una davvero rilevante riduzione dei posti dirigenziali, cioè dei gradi militari più alti attribuiti ai nostri cappellani: attualmente ne sono previsti 14 (un generale di corpo d’armata, un generale di divisione, 3 ispettori che sono generali di brigata e 9 colonnelli). Di questi ne rimarranno solo due: l’arcivescovo ordinario militare assimilato ad un generale di corpo d’armata e il vicario generale che è assimilato a un generale di divisione (e parlo di ‘assimilazione’ perché i cappellani fanno parte della Forze Armate ma ovviamente in un modo del tutto particolare). Gli altri cappellani avranno una carriera limitata con uno scatto di grado ogni 10 anni che li porterà dopo 30 anni ad essere tenenti colonnelli poco prima di andare in pensione”. Per chi resterà in servizio si risolverà anche il problema degli “straordinari” che nasce dalle normative assicurative, per le quali un militare non può essere in servizio fuori dall’orario se non è autorizzato dai superiori. “Il cappellano in quanto militare – osserva Frigerio – ha un orario di servizio ma come sacerdote non può averlo. Vogliamo superare questa contraddizione ma ci vuole una norma necessaria a liberare il comandante della caserma, della nave e di ogni altro presidio dalle responsabilità ai fini assicurativi”.
Ridotto al minimo resta comunque un vertice fatto da ecclesiastici con alti gradi militari, ma, spiega Frigerio, “l’Ordinariato è considerato un corpo delle Forze Armate e un corpo senza la testa non sta in piedi. Comunque – aggiunge il prelato – tagliare 12 dirigenti su 14 rappresenta una spending review che nessun altro organo dello Stato avrebbe accettato di buon grado”. Come è ovvio la riduzione degli alti gradi del corpo dei cappellani avverrà nel giro di qualche anno con il collocamento a riposo di 7 colonnelli, che da ora possono essere considerati in un ruolo a esaurimento, mentre i tre generali di brigata che risultano vacanti non saranno nominati. E lo stesso riguarda i gradi inferiori: dal 2012 sono andati in pensione più cappellani di quelli che sono entrati. Con Marciano’ la selezione del personale è diventata più attenta e il numero degli ingressi è già diminuito per questa ragione: entrano solo seminaristi e sacerdoti che hanno le caratteristiche necessarie”.
Il vicario generale dell’Ordinariato Militare tiene a chiarire nell’intervista che una maggiore riduzione del numero dei cappellani non sarebbe stata ipotizzabile perché ci sono cappelle in tutte le caserme, le navi, gli aeroporti e i presidi anche se non c’è più la leva obbligatoria (che impegnava circa 400 mila ragazzi) e il numero dei militari è in continua discesa (nel 2024 si prevede che ce ne saranno 90 mila nell’Esercito, 25 mila nella Marina Militare, 12 mila nella Capitaneria di porto, 35 mila nell’Aviazione Militare, 110 mila nell’Arma dei Carabinieri e 60 mila nella Guardia di Finanza oltre a 18 mila dipendenti civili). “Non si può seguire in modo rigido il criterio numerico. Vale come per le parrocchie di montagna, scendono i fedeli ma il prete per quanto possibile deve restare per chi rimane”. Quanto alla proposta di una smilitarizzazione dei cappellani militari, monsignor Firigerio replica: “abbiamo ritenuto di conservare i gradi ma come ufficiali subordinati confrontandoci con le esperienze degli altri paesi della Nato. I cappellani non sono militari puri ma nemmeno estranei al mondo militare. Il concetto chiave è quello dell’assimilazione: nelle Forze Armate ci sono ad esempio i medici che fanno i medici e hanno la deontologia e la scienza come riferimento, analogamente i cappellani sono nelle Forze Armate in maniera peculiare, ad esempio i loro stipendi sono sensibilmente più bassi dei pari grado perché non hanno le indennità di specializzazione dei vari corpi, come quelle dei piloti o dei paracadutisti, e si aggirano in media sui 1800 euro”. “Liberati” da ogni prospettiva di carriera e dai vantaggi economici offerti dagli “straordinari”, che tipo di sacerdoti saranno i cappellani militari del futuro? “Per un cappellano – conclude Frigerio – seguire quello che dice Papa Francesco è più facile: non ha la casa parrocchiale o la chiesa dove mettere marmi di Carrara, ed è obbligato a vivere in caserma in un alloggio modesto. Nell’essenzialità, seguendo la vita dei suoi uomini, e cioè accontentatosi di stare sotto le tende se loro dormono sotto le tende. Seguendoli nelle missioni di pace. Preti con le stellette, questo sì, ma anche preti che vivono con la loro gente, i militari, nelle periferie”.