Una possibile riforma del sistema previdenziale italiano è stata esposta dall’INPS nel rapporto annuale pubblicato nel corso di questo mese.
Il sistema pensionistico italiano – afferma l’INPS – è stato oggetto di numerosi interventi correttivi negli ultimi 30 anni, tesi per lo più al contenimento della spesa attraverso l’inasprimento dei requisiti
di accesso, l’introduzione di meccanismi di calcolo dell’assegno meno generosi, il raffreddamento della rivalutazione degli importi in godimento.
Il passaggio al metodo di calcolo contributivo avvenuto nel 1995 ha modificato radicalmente il sistema pensionistico legando il trattamento previdenziale ai contributi effettivamente versati.
L’equità attuariale del modello contributivo sotto determinate condizioni – continua l’analisi dell’INPS – ha migliorato la sostenibilità del sistema pensionistico, tuttavia la scelta al tempo effettuata di rendere troppo graduale l’introduzione del nuovo modello ha ritardato gli effetti benefici nel sistema tanto da rendere necessari continui interventi di riduzione della spesa fino ad arrivare alla riforma Monti-Fornero che ha assicurato notevoli risparmi sia pure con costi sociali elevati.
Da quel momento tutti gli interventi sono stati tesi a facilitare l’accesso alla pensione o a introdurre strumenti di accompagnamento alla stessa per alcune categorie di lavoratori ritenuti più fragili. Da ultimo, nel 2019, si è introdotta la cosiddetta quota 100 ( che escludeva il Comparto Sicurezza e Difesa) permettendo ai lavoratori di anticipare il pensionamento rispetto ai requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età con almeno 20 anni di contribuzione per i lavoratori nel regime misto e retributivo e l’aggiunta di un requisito di importo minimo pari a 1,5 volte l’assegno sociale per i lavoratori del sistema contributivo puro) o quelli per la pensione anticipata (41 e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini oltre la finestra di tre mesi per la decorrenza della pensione) a condizione di aver almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contribuzione .
A tale riguardo – sostiene l’Istituto Previdenziale – nel dibattito pubblico ci sono diverse proposte di revisione del sistema pensionistico. In questo paragrafo ne abbiamo volute approfondire tre dal punto di vista degli effetti economici sia in termini di maggior spesa pensionistica nel decennio 2022-2031 per la valutazione degli effetti di breve-medio periodo, sia in termini di spesa assoluta rapportata al PIL nell’arco temporale di trenta anni per valutarne anche gli effetti nel lungo periodo.
Tra le tre proposte, qualora il governo decidesse di adottarle, l’unica che potrebbe interessare una buona parte del Comparto Sicurezza e Difesa è quella riferita a “QUOTA 41“, che di fatto abrogherebbe la Circolare sull’ Adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita, ma come avvenuto in precedenza, il personale in divisa rischia seriamente di rimanere nuovamente escluso. Ecco la proposta integrale dell’INPS:
41 anni di contribuzione:
si riduce il requisito dell’anzianità contributiva a 41 di anni
di contribuzione(23) per l’accesso alla pensione anticipata sia per gli uomini che per le donne (lasciando inalterata la finestra trimestrale per la decorrenza della pensione) favorendo coloro che hanno un numero elevato di anni di contribuzione indipendentemente dal requisito anagrafico. La proposta non prevede modifiche al metodo di calcolo della pensione.
(23) Requisito non soggetto all’adeguamento in base alle variazioni della speranza di vita.
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