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Lavoro straordinario in ambito militare. La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE)

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Particolare sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sul lavoro straordinario nelle forze armate degli stati membri.

La CGUE, con la sentenza 131/21 dello scorso 15 luglio  2021, fornisce alcuni orientamenti nei casi in cui le direttive concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro non possono essere applicate ad attività svolte dal personale militare.

Tali direttive – secondo  la CGUE – potranno essere applicate al militare in talune circostanze, mentre la loro applicazione verrebbe meno in caso di esercitazioni, conflitto e repentino impiego sul campo.

COME SI È GIUNTI ALLA SENTENZA

Tra febbraio 2014 ed luglio 2015, B. K., sottufficiale dell’esercito sloveno, svolgeva un “servizio di guardia” ininterrotto per sette giorni al mese. Durante l’esecuzione di tale servizio, B. K. era tenuto a svolgere un’effettiva attività di sorveglianza e determinati periodi di riposo, durante i quali era tenuto solo a rimanere a disposizione dei suoi superiori, reperibile e presente in ogni momento presso la caserma dove era distaccato.

Il ministero della Difesa sloveno, ha ritenuto che, per ciascuno di quei giorni di “servizio di guardia”, andavano retribuite solo otto ore complete al giorno, mentre le rimanenti ore venivano retribuite con un’indennità pari al 20% di quanto previsto.

Il militare, tramite un’azione legale, ha chiesto di essere retribuito, a titolo di straordinario, anche per quelle ore di riposo espletate durante il  “servizio di guardia”, malgrado non avesse svolto alcuna attività per il suo datore di lavoro, ma che comunque lo avevano obbligato a rimanere a disposizione dei suoi superiori.

Il militare sloveno ha perso sia in primo grado che in appello e la causa è finita sotto osservazione della Vrhovno sodišče (Corte suprema Slovenia), che, relativamente all’applicabilità della direttiva 2003/88 e vista la novità del contenzioso, ha deciso di sottoporre la questione alla CGUE.

La direttiva 2003/88 stabilisce i requisiti minimi riguardanti, tra l’altro, della durata dell’orario di lavoro per attività di sicurezza svolta da un militare in tempo di pace e, più in particolare, ha posto quesiti sui contestati “periodi di riposo durante il servizio” ovvero quando un militare è tenuto a rimanere nella caserma in cui è assegnato, ma non svolge un lavoro effettivo. In quel caso, l’orario espletato deve essere considerato come orario di lavoro, ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva?

Giudizio della Corte

Nella sentenza , la Corte fornisce orientamenti sui casi in cui l’ attività di sicurezza svolta da un militare è esclusa dall’ambito di applicazione del Direttiva 2003/88.

La Corte rileva, in via preliminare, che l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, il quale prevede che la sicurezza deve rimanere di esclusiva responsabilità di ciascuno Stato membro, non ha l’effetto di escludere l’organizzazione dell’orario di lavoro del personale militare dall’ambito di applicazione del diritto dell’UE.

Al riguardo, la Corte rileva che i compiti principali delle forze armate degli Stati membri, quali sono la salvaguardia dell’integrità territoriale e la salvaguardia della sicurezza nazionale, sono espressamente inclusi tra le funzioni essenziali dello Stato che l’Unione Europea deve rispettare.

Secondo la CGUE, l’organizzazione delle forze armate di ciascun stato membro, non esula completamente dall’ambito di applicazione del diritto dell’UE, in particolare quando le norme armonizzate in questione riguardano l’organizzazione dell’orario di lavoro.

L”articolo 4, paragrafo 2, TUE richiede che l’applicazione al personale militare delle norme del diritto dell’Unione in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, non deve ostacolare il corretto svolgimento delle funzioni essenziali. Il diritto dell’UE quindi deve tenere in considerazione le specificità che ciascuno Stato membro impone al funzionamento delle proprie forze armate, specialmente nelle responsabilità internazionali assunte da quello Stato membro, dai conflitti o dalle minacce che si trova ad affrontare, o dalla situazione geopolitica e contesto in cui tale Stato si evolve.

Passando poi alla questione della direttiva 2003/88, la Corte osserva che il il concetto di “lavoratore” è definito con riferimento alla caratteristica essenziale di un rapporto di lavoro, vale a dire che una persona che svolge servizi per e sotto la direzione di un’altra persona , deve ricevere una retribuzione.

La direttiva – sostiene la Corte – era quindi applicabile al caso del militare sloveno B. K.. Infine, per quanto riguarda le materie disciplinate dalla direttiva 2003/88, con riferimento all’ Articolo 2 della direttiva 89/391, la Corte ricorda che tale direttiva si applica a «tutti i settori » pubblici e privati», forze armate comprese, fatta eccezione per determinate e specifiche attività di servizio pubblico. 

 Al riguardo, la Corte rileva che l’art. 2 della direttiva 89/391 non può essere interpretato nel senso che tutti i membri delle forze armate degli Stati membri siano permanentemente esclusi dalla campo di applicazione della direttiva 2003/88. Tale esclusione non copre interi settori del servizio pubblico, ma solo alcune categorie di attività in quei settori, in ragione della loro specificità.

Con riferimento, in particolare, alle attività svolte dal personale militare, la Corte rileva, tra l’altro, che quelle attività connesse ai servizi amministrativi, di manutenzione, di riparazione e sanitari, nonché in quanto servizi relativi all’ordine pubblico, non presentano, in quanto tali, particolarità che rendono impossibile pianificare l’orario di lavoro in modo conforme ai requisiti di cui all’art direttiva 2003/88, almeno a condizione che tali attività non siano svolte nell’ambito di un operazione militare, compreso il periodo di preparazione immediatamente precedente a tale operazione.

Tuttavia, la Corte rileva che tale direttiva non si applica alle attività del personale militare e, in particolare, alle loro attività di sicurezza, qualora dette attività si svolgano in addestramento operativo o nel corso di operazioni che comportano un impegno militare da parte dell’esercito , quando vi sia un dispiegamento, permanente o temporaneo, entro i confini del Stato membro interessato o al di fuori di tali confini.

Inoltre, anche la direttiva 2003/88 non si applica all’attività militare così particolare da non essere adatta ad un sistema di rotazione del personale che garantirebbe il rispetto dei requisiti di tale direttiva. Questo è anche il caso in cui risulta che l’attività militare si svolga nel contesto di eventi eccezionali, della gravità e le cui dimensioni richiedono l’adozione di misure indispensabili per la tutela della vita, della salute e della sicurezza della comunità in generale, misure la cui corretta attuazione verrebbe pregiudicata qualora si dovessero osservare tutte le norme previste da tale direttiva, o qualora l’applicazione di tale direttiva su tale attività, imporrebbe alle autorità interessate di istituire un sistema di rotazione o un sistema di pianificazione dell’orario di lavoro, pregiudicando il corretto svolgimento di operazioni militari reali.

Secondo la CGUE, spetta al giudice del rinvio stabilire se l’attività di sicurezza svolta da B. K. rientra in una di tali situazioni. In caso contrario, allora quell’attività dovrà ritenersi contemplata nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88.

In ultimo, la Corte rileva che il periodo di attesa imposto ad un militare che lo costringa ad essere continuamente presente sul posto di lavoro, deve essere considerato come un orario di lavoro espletato al di fuori dalla sua residenza.QUI la sentenza integrale 

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