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Il taglio della perequazione sulle pensioni sarà costituzionale?

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7 dicembre 2022 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo

La perequazione è un meccanismo attraverso il quale l’importo della pensione viene adeguato all’aumento del costo della vita identificato dall’Istat, al fine di proteggere il potere d’acquisto dei trattamenti pensionistici.

Lo stesso vale per i lavoratori dipendente, difatti il governo Meloni, con l’art. 62 della legge di bilancio 2023, ha previsto un emolumento accessorio una tantum per adeguare, in modo parziale, all’inflazione gli stipendi degli statali.

L’aumento, sarà pari all’1,5% dello stipendio, cioè della retribuzione tabellare annua lorda fissa e continuativa, spalmata su tredici mensilità, pertanto sarà proporzionale allo stipendio in godimento, quindi avremo:

per un dipendente ministeriale posizione economica I F 1, con uno stipendio tabellare annuo lordo di 18.019 euro, l’aumento sarà di 270 anni lordi spalmati su 13 mensilità, corrispondente ad un lordo mensile di 20,79 euro;

per un magistrato, al momento escluso, sui cui questo aumento si rifletterà successivamente (art. 24, comma 1, della legge 448/98), con uno stipendio annuo lordo di circa 120.000 euro, l’aumento sarà di 1.800 annui lordi spalmati su 13 mensilità, corrispondente ad un lordo mensile di 138,46 euro;

La differenza di cui sopra è, semplicemente, il frutto di una normale prassi di adeguamento degli stipendi degli statali all’inflazione, pertanto, ad un minore stipendio corrisponde un minore adeguamento economico se confrontato con chi gode di uno stipendio più alto.

Ciò non ha prodotto un ripensamento del governo per una ridistribuzione più “equa”, prevedendo un dècalage degli aumenti all’ accrescere dello stipendio in godimento. Pertanto, diventa ancora più incomprensibile la riduzione dell’adeguamento dell’inflazione già dalle pensioni 4 volte superiori al minimo (lordo 2.255 circa 1.711,00 netti), con una penalizzazione del 20% che si amplia in maniera progressiva all’aumentare della pensione, fino ad una riduzione del 65% dell’inflazione reale per le pensioni sopra i 6.213 lordi mensili.

Ciò in netto contrasto col sistema di adeguamento all’inflazione degli stipendi, ma, soprattutto, con la pronuncia della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 234/2020, ha statuito la discrezionalità del legislatore del blocco o ridimensionamento della rivalutazione automatica che deve però, oltre che giustificato da eccezionali esigenze di bilancio, soggiacere al requisito della temporalità che è stata già messa in discussione all’epoca della sentenza, perché la misura si poneva oltre il solco della previsione precedente che avevano contratto l’indicizzazione delle pensioni sino al 31/12/2018.

Secondo i giudici, tale limite aveva già determinato la sostanziale e definitiva penalizzazione a carico dei trattamenti di maggiore importo, mentre i governi di Conte hanno prorogato la penalizzazione fino al 31/12/2021 e solo dal 2022 il governo Draghi ha ripristinato il sistema di adeguamento più favorevole.

È opportuno, inoltre, precisare che la riattivazione dell’indicizzazione più favorevole non restituisce interamente il maltolto ai pensionati, perché il danno economico prodotto da una assenza ovvero minore rivalutazione negli anni precedenti si trascina nel tempo.

Pertanto, si presume che la previsione di cui all’art. 56 della legge di bilancio del 2023, che rintroduce un sistema di indicizzazione penalizzante per il 2023 e 2024, possa essere viziata da illegittimità costituzionale, perché la limitazione temporale si protrarrà oltre ogni ragionevole dubbio.

Le modalità di erogazione della rivalutazione sono state più volte riviste dal legislatore per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in maniera alternata dal 1996 al 2011, in maniera costante, al netto del 2022, dal 2012 al 2021 e prolungate per prossimo biennio.

Con la tabella seguente, si evidenza la perdita del potere di acquisto di una pensione del 2011 pari a 6 volte il trattamento minimo.

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