L’AUMENTO DEL CUNEO FISCALE APPROVATO COL DECRETO LAVORO
4 maggio 2023 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo
Per cuneo fiscale si intende la somma delle imposte (dirette, indirette, contributi previdenziali) che impattano sul costo del lavoro, sia dalla parte dei datori di lavoro, sia rispetto ai lavoratori dipendenti, autonomi o liberi professionisti. In sostanza, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore.
Il governo Draghi, prima con la legge di bilancio 2022, poi col d.l. aiuti bis, ha previsto un taglio del cuneo fiscale, riducendo del 2% i contributi a carico del lavoratore dipendente con reddito annuo lordo fino a 35.000 euro.
Con la legge di Bilancio 2023, proseguendo sulla strada tratteggiata dal precedente governo, il governo Meloni ha confermato per il 2023 la riduzione del cuneo fiscale di due punti per i redditi fino a 35 mila euro e ha incrementato il taglio di un ulteriore punto per i redditi fino a 25 mila euro. La seguente tabella indica l’aumento totale del taglio dal 1 gennaio 2023.
Nel documento di economia e finanza (Def) approvato l’11 aprile è previsto un nuovo intervento sul cuneo fiscale e l’ipotesi che è circolata fino al decreto del 1 maggio era quella di portarlo al 4% per i redditi fino a 35 mila euro, prevedendo, quindi, un ulteriore 1% per i redditi fino a 25 mila euro e un 2% per i redditi tra 25 e 35 mila euro.
Con la seguente tabella si indica il totale del risparmio per tutto l’anno 2023 in tale ipotesi, in considerazione del fatto che comunque il taglio del cuneo fiscale scadrà il 31/12/2023.
Il decreto lavoro approvato il 1 maggio ha, invece, previsto un ulteriore taglio del 4% per i redditi fino a 35 mila euro, pertanto il lavoratore con reddito annuo lordo fino a 25 mila euro passa dal 3 al 7% e quello con reddito tra 25 e 35 mila dal 2 al 6%, ma con decorrenza da luglio e senza effetti sulla tredicesima mensilità.
La tabella a seguire indica il risparmio totale per il 2023 che, anche se di poco, è superiore rispetto all’ipotesi che circolava prima dell’approvazione del decreto.
Infine, è opportuno evidenziare che l’effetto concreto del taglio del cuneo fiscale diminuisce, in quanto i contributi risparmiati vanno ad incrementare il reddito imponibile ai fini Irpef, con la conseguenza che la base del calcolo Irpef e delle addizionali regionali e comunali aumenta, oltre che riflettersi sulle detrazioni di imposta da lavoro. In sintesi, il beneficio della decontribuzione comporta un netto in busta paga inferiore al taglio percentuale del cuneo.
La premier Meloni, in un video sui social registrato nei suoi uffici a Palazzo Chigi, rivendica quello che definisce “il taglio delle tasse sul lavoro più importante degli ultimi decenni”, ma non è cosi, in quanto la più grande riduzione delle tasse è quella dei 960 euro annui di Renzi (elevato dal governo Conte a 1.200 euro) per i redditi fino a 24 mila euro e quella di Draghi per i redditi oltre i 24 mila euro che ha prodotto un risparmio annuo minimo di circa 250 euro e massimo di circa 1.600 annui, mentre il taglio di questo governo è tra un minimo di 340 euro e un massimo di 780 euro annui, come si evince da tabella rapportati in mesi.
(a) solo a beneficio dei lavoratori dipendenti
(b) in parte anche a beneficio dei pensionati (circa il 70% del totale)
Inoltre, la differenza veramente sostanziale sta nel fatto che il bonus Renzi e il taglio Irpef di Draghi sono strutturali, mentre il cuneo fiscale esaurisce i suoi effetti con lo stipendio di dicembre 2023 e il rinnovo per il solo 2024, in ipotesi di un taglio del 4%, comporta una spesa di 9/10 miliardi. Un’eventuale estensione ai redditi oltre i 35 mila euro implica uno stanziamento di circa 20 miliardi.