“Covid19” – Bollettino dell’AIFA. Spunta il lopinavir/ritonavir. In Francia si usa l’antimalaria

L’Aifa, Associazione Italiana del Farmaco, sta valutando e approvando l’impiego di  diversi farmaci, anche in combinazione, al fine di riuscire ad ottenere effetti soddisfacenti contro le patologie da covid19, tra le quali la gravissima polmonite.

Il 22 marzo ,circa l’utilizzo dell’ Avigan, l’ AIFA aveva emesso un comunicato che in qualche modo prendeva le distanze dalle notizie che circolavano in rete, non riconoscendo al farmaco le proprietà che gli venivano attribuite.

AIFA precisa, uso favipiravir per COVID-19 non autorizzato in Europa e USA, scarse evidenze scientifiche sull’efficacia

In merito alle recenti informazioni circolate in rete e a mezzo stampa relative all’utilizzo della specialità medicinale a base di favipiravir nel trattamento di COVID-19, l’Agenzia italiana del Farmaco precisa quanto segue.



Favipiravir (nome commerciale Avigan) è un antivirale autorizzato in Giappone dal Marzo 2014 per il trattamento di forme di influenza causate da virus influenzali nuovi o riemergenti e il suo utilizzo è limitato ai casi in cui gli altri antivirali sono inefficaci. Il medicinale non è autorizzato né in Europa, né negli USA.

Ad oggi, non esistono studi clinici pubblicati relativi all’efficacia e alla sicurezza del farmaco nel trattamento della malattia da COVID-19. Sono unicamente noti dati preliminari, disponibili attualmente solo come versione pre-proof (cioè non ancora sottoposti a revisione di esperti), di un piccolo studio non randomizzato, condotto in pazienti con COVID 19 non grave con non più di 7 giorni di insorgenza, in cui il medicinale favipiravir è stato confrontato all’antivirale lopinavir/ritonavir (anch’esso non autorizzato per il trattamento della malattia COVID-19), in aggiunta, in entrambi i casi, a interferone alfa-1b per via aersol. Sebbene i dati disponibili sembrino suggerire una potenziale attività di favipiravir, in particolare per quanto riguarda la velocità di scomparsa del virus dal sangue e su alcuni aspetti radiologici, mancano dati sulla reale efficacia nell’uso clinico e sulla evoluzione della malattia.



La Commissione Tecnico-Scientifica di AIFA, nella seduta del giorno seguente, ovvero il 23 marzo sulla base di preliminari e limitate evidenze di attività del medicinale favipiravir nella malattia COVID-19, si è impegnata nella valutazione di un programma di sperimentazione clinica per valutare efficacia e sicurezza di questo trattamento. In seguito il medicinale non è più stato nominato, ma la stessa Agenzia ha autorizzato l’utilizzo di altri farmaci, emettendo un altro bollettino.

Riguardo l’Avigan ( favipiravir) si sa soltanto che il Giappone ha ritirato due milioni di confezioni dalle farmacie e le ha fornite in via esclusiva agli ospedali, ma nessun dato sulla sua efficacia è ancora stato reso ufficiale. Il Giappone è l’unico paese che ha deciso di  riaprire le scuole.In Francia invece si inverte la tendenza e si torna indietro di decenni. I medici francesi hanno effettuato un test riproponendo il buon vecchio chinino, utilizzato contro la malaria. Oggi il suo nome è idrossiclorochina e da uno studio effettuato su 24 pazienti, il 75% dei pazienti trattati con il Plaquenil ( nome commerciale dell’idrossiclorochina) , “dopo sei giorni di trattamento aveva una carica virale negativa”, ovvero non aveva più il virus attivo all’interno del proprio corpo.

Speranze dalla Cina

La Cina ha annunciato di aver realizzato il ‘plasma di convalescenza’. La notizia è stata data dal China National Biotec Group. Per ora si sa solo che su tre pazienti in condizioni critiche il trattamento ha avuto gli effetti sperati.

Aggiornamento sui farmaci resi disponibili per COVID-19 al di fuori delle indicazioni terapeutiche

L’AIFA ,in considerazione dell’alto livello di incertezza con cui queste terapie sono messe a disposizione e del particolare stato di emergenza rispetto ad una pandemia che stiamo imparando a conoscere giorno per giorno, ritiene importante aggiornare continuamente le informazioni relative alle prove di efficacia e sicurezza che si renderanno a mano a mano disponibili.

Associazione Lopinavir/Ritonavir: rivalutazione alla luce delle nuove evidenze

Un primo studio randomizzato su malati Covid-19 (pubblicato sul New Engl J Med il 18 marzo— DOI: 10.1056/NEJMoa2001282) è stato effettuato a Wuhan (Cina) per testare l’efficacia della combinazione lopinavir-ritonavir. Lo studio, che ha coinvolto 199 pazienti non ha evidenziato differenze nel tempo al miglioramento clinico e nella mortalità. Questo risultato, che apparentemente potrebbe risultare a sfavore del trattamento, deve tuttavia essere interpretato alla luce delle seguenti considerazioni.

Innanzitutto la popolazione studiata comprendeva pazienti con malattia avanzata (SaO2 < 94%, necessità di ricorrere all’ossigenoterapia a o a tecniche di ventilazione meccanica e che hanno manifestato i sintomi della patologia da più di 12 giorni), mentre i protocolli attualmente in uso presso i principali centri clinici, nonché le più recenti Linee guida SIMIT Lombardia, ne prevedono l’utilizzo in fasi più precoci e in pazienti meno compromessi. Nello studio suddetto, inoltre, la mortalità (esito secondario per la quale lo studio non era stato dimensionato) pur non risultando significativamente diversa rispetto al controllo mostrava  un chiaro trend a favore del trattamento. E’ stata infine osservata anche una tendenza verso la riduzione della permanenza in unità di terapia intensiva a favore dell’associazione.

Per quanto sopra detto, si ritiene che al momento non sussistano ragioni sufficienti ad escludere dalla rimborsabilità l’associazione lopinavir/ritonavir per il trattamento dei pazienti COVID-19.




In considerazione del generale livello di incertezza delle evidenze disponibili (incertezza che riguarda anche le combinazioni a base di darunavir, per le quali i dati a supporto sono molto limitati ma che hanno un meccanismo d’azione molto simile a quello di lopinavir/ritonavir e potrebbero offrire dei vantaggi in termini di tollerabilità).

Questa è la situazione attuale,  fatta eccezione per il TOCILIZUMAB, già in fase di sperimentazione in quasi tutti gli ospedali di terapia intensiva italiani.

 


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