Interruzione differimento e rateizzazione del trattamento di fine servizio (T.F.S.) Richiesta intervento attuativo della sentenza della Corte Costituzionale n. 130/2023.
Il Sindacato Autonomo di Polizia (SAP), il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE), il Sindacato Italiano Militare Carabinieri (SIM CC), il Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco (CONAPO) e il Sindacato Italiano Militare Guardia di Finanza (SIM GdF) con la presente sottopongono all’attenzione delle SS.LL. la necessità di dare concreta attuazione ai dettami della sentenza della Corte Costituzionale n. 130/2023, che si è definitivamente pronunciata sul meccanismo di differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.F.S.), spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio.
Com’è noto, la disciplina del differimento e della rateizzazione del T.F.S. è stata oggetto di molteplici modifiche, che, in attuazione di obiettivi di “spending review”, hanno incrementato i termini per il conseguimento del trattamento de quo a scapito dei beneficiari.
Di conseguenza, l’attuale quadro normativo di riferimento, quale risultante dei plurimi interventi normativi testé richiamati, è rappresentato, per quanto concerne l’istituto del differimento, dall’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79/1997, che attribuisce all’ente erogatore il compito di provvedere alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Tale termine si riduce a dodici mesi nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio. Il predetto art. 3 dispone, inoltre, che l’ente provvede alla corresponsione entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.
Per quanto attiene, invece, al meccanismo della rateizzazione, l’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78/2010, ha previsto la corresponsione dell’indennità di buonuscita (latamente intesa), secondo le seguenti modalità:
– «un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro» (art. 12, comma 7, lettera a);
– «due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro (art. 12, comma 7, lettera b);
– «tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 100.000 euro (art. 12, comma 7, lettera c).
In tale contesto si innestano le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tar Lazio, sezione terza quater, in riferimento all’art. 36 Cost., a seguito delle quali la Corte Costituzionale, con la pronuncia di cui in oggetto, ha ritenuto l’istituto del differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.F.S.), spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio, in contrasto con il principio costituzionale della giusta retribuzione, principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione.
Nel dettaglio, la Corte Costituzionale, pur ammettendo il ricorso al pagamento differito dell’indennità di fine servizio in caso di cessazione anticipata dall’impiego, perché corrispondente alla ratio di disincentivare i pensionamenti anticipati e di promuovere la prosecuzione dell’attività lavorativa (sentenza n. 159 del 2019), assume una posizione diametralmente opposta in merito alla cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio.
Proprio con riferimento a quest’ultima fattispecie, la Corte Costituzionale sottolinea che il pagamento differito di dodici mesi non risulta ormai più rispettoso né del requisito della temporaneità, né dei limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalità, finendo per vanificare la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine servizio.
Di conseguenza, l’eliminazione del meccanismo del pagamento differito diventa un’esigenza sempre più attuale, ancor più alla luce della crescente pressione inflazionistica e del mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, atteso che allo scadere del termine annuale maggiorato di tre mesi sono dovuti i soli interessi di mora.
La pronuncia della Corte Costituzionale, in un breve passaggio, si sofferma anche sull’istituto del pagamento rateale del trattamento di fine servizio, ex art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010.
Nonostante la norma de qua regoli un sistema calibrato di sacrificio economico e strutturato secondo una progressione graduale delle dilazioni, a ben vedere, soprattutto quando la rateizzazione si combina con il pagamento differito, si finisce per aggravare ulteriormente la posizione del dipendente, con conseguente allungamento dei tempi per conseguire l’indennità maturata. Occorre sottolineare, inoltre, che le criticità riscontrate non possono considerarsi superate dall’introduzione dell’anticipazione della prestazione, regolata dall’art. 23 del d.l. n. 4/2019 1 , né dalla fattispecie istituita con la deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’INPS, datata 9 novembre 2022, n. 2192 .
1 Ai sensi del quale è possibile richiedere il finanziamento di una somma, pari all’importo massimo di 45.000 euro, dell’indennità di fine servizio maturata, garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto l’emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato dall’art. 4, comma 2, del d.m. 19 agosto 2020, in misura pari al rendimento medio dei titoli pubblici maggiorato dello 0,40 per cento.
2 Tale anticipazione, istituita a favore degli iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, consente, in estrema sintesi, di usufruire di un finanziamento pari all’intero ammontare del trattamento maturato e liquido, erogato al tasso di interesse fisso pari all’1 per cento, unitamente alle spese di amministrazione in misura pari allo 0,50 per cento dell’importo, dietro cessione pro solvendo della corrispondente quota non ancora esigibile del trattamento di fine servizio o di fine rapporto.
A ben vedere, entrambi gli interventi riconoscono all’avente diritto la facoltà di evitare la percezione differita dell’indennità, riversando, tuttavia, sul lavoratore il costo della fruizione tempestiva dell’emolumento, attraverso un sistema che evoca l’istituto del finanziamento oneroso.
Proprio con riferimento alla delibera n.219/2022, si ravvisa una sorta di cortocircuito, atteso che viene riconosciuto all’INPS il potere di erogare il TFS in un’unica soluzione solo a fronte di un anticipo finanziario che viene fornito dallo stesso ente tenuto alla relativa prestazione.
Non si comprendono le ragioni per cui l’INPS, capace di corrispondere il TFS in un’unica soluzione, un tempo modalità ordinaria di erogazione, debba ricorrere all’istituto dell’anticipo finanziario come un qualunque istituto di credito privato, lucrando sulle aspettative del dipendente.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente che ad oggi il differimento dell’erogazione del T.F.S., inasprito per il conseguimento di obiettivi di spending review, risulta un congegno non conforme al quadro costituzionale vigente, regolato ormai da una disposizione che ha «smarrito un orizzonte temporale definito» (sentenza n. 159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza.
Tutto ciò si ripercuote evidentemente a danno del dipendente, che si ritrova costretto a subire tutte le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla mancata disponibilità immediata dell’importo spettante, somma utile e necessaria per soddisfare, ancor più alla luce dell’attuale scenario economico-finanziario, esigenze personali e familiari.
Per tali ragioni, si invitano le SS.LL. a intervenire nelle opportune sedi, al fine di fissare tempi e modalità di realizzazione di un’azione riformatrice, che, nel rispetto delle esigenze di finanza pubblica, dia concreta attuazione al nuovo monito della Corte Costituzionale, purtroppo già in passato disatteso a partire dalla sentenza n. 159/2019.