Gli innumerevoli e continui casi di atti suicidari intercorsi, anche in questi giorni, tra il personale del Comparto Difesa e Sicurezza, impongono un’ attenzione e un intervento non posticipabile e non operato con sottostima o paure.
Purtroppo tali gesti vengono quasi sempre riferiti a motivi sentimentali, personali o a disturbi Post Traumatici da Stress. Molti dati in letteratura dimostrano però che esistono condizioni predisponenti e precipitanti atti suicidari, apparentemente meno gravi ma costanti, definibili come micro-traumi, che agiscono silenziosamente giorno dopo giorno, e che intaccano la salute psicologica delle vittime, in special modo in un ambiente lavorativo, in cui il demansionamento, gli squilibri e l’ingiustizia organizzativa, le prevaricazioni, le vessazioni e le minacce, possono essere frequenti e implicitamente legittimate da un sistema estremamente gerarchizzato e auto giudicante.
Alla luce di quanto esposto, appare doveroso sottolineare che i dati scientifici prodotti e utilizzati dal Comparto Difesa e Sicurezza non siano del tutto chiari, poiché considerano il Disturbo Post- Traumatico da Stress come unico possibile fattore per il rischio suicidario.
Inoltre, questi dati tengono conto di una percentuale molto ridotta di casi, di un lasso di tempo troppo ristretto, escludendo, inoltre dalle ricerche gli operatori in congedo o quelli in età di pensionamento e riducono le conseguenze ad una sintomatologia assai ristretta, che esclude le realtà lavorative.
In un contesto altamente chiuso e gerarchizzato, come quello del Comparto Difesa e Sicurezza, l’argomento acquista una complessità ancora maggiore, tanto più perché risulta evidente la problematica dello stigma. Il risultato è che, quando anche l’individuo si rivolga alla propria organizzazione di appartenenza portando una propria difficoltà, questa non trovi accoglienza e supporto, ma anzi, vada ad incidere negativamente sull’affidabilità e sulla capacità lavorativa del soggetto stesso. Questa situazione implica che tali operatori militari e delle Forze di Polizia difficilmente chiedano supporto, individuando invero nello psicologo una figura di valutazione e controllo piuttosto che di aiuto e sostegno.
Tale resistenza è del tutto giustificabile, se consideriamo che gli psicologi interni alle organizzazioni di Difesa e Sicurezza, in quanto appartenenti alle medesime Amministrazioni, risultano subordinati alla linea Gerarchica e dalla stessa giudicati; ciò
rende il loro intervento poco affidabile agli occhi dei colleghi operatori, che temono segnalazioni al rispettivo Comando, incorrendo quindi in giudizi e ripercussioni negative pregiudicanti il proprio percorso professionale.
Nasce dunque l’esigenza di creare un centro di supporto e di ascolto psicologico gestito da una rete di psicologi e psicoterapeuti non appartenenti, quindi non gerarchicamente subordinati, alle organizzazioni di Difesa e Sicurezza, pertanto, in grado di garantire maggiormente i principi di neutralità e astensione del giudizio, che si configurano come presupposti fondamentali nel processo di cura psicologica e della relazione terapeutica.
Gli psicologi e gli psicoterapeuti dello Sportello di Ascolto dell’Associazione AssoMilitari, non avendo nessuna dipendenza politica, etica o professionale con le Amministrazioni a cui appartengono i fruitori del servizio offerto, sono tenuti al segreto professionale.
Presidente Assomilitari
Maresciallo Carlo Chiariglione
#Nessunorimaneindietro
Metti un like alla nostra pagina facebook, Clicca QUI. Ci trovi anche su Telegram, Clicca QUI. (Se non hai Telegram, Clicca QUI)