La lettera del poliziotto condannato a pagare 310mila euro per un fatto accaduto circa 25 anni fa. Una storia controversa per certi versi paradossale e ora a peggiorare la già disastrosa situazione ci si è messo uno dei tumori più aggressivi del cervello, il glioblastoma multiforme. Pubblichiamo di seguito la lettera inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella resa nota da ” il Messaggero”:
Sua Eccellenza Sergio Mattarella Presidente della Repubblica Italiana Palazzo del Quirinale, 00187 – Roma Signor Presidente, sono un Cittadino italiano, ho 54 anni e sono un veterano in forza ai ruoli della Polizia di Stato, presso la Questura di Padova.
Con grande orgoglio servo il mio Paese da 35 anni e non mi sono mai risparmiato ma, piombato ora in una insidiosa condizione di sconforto e dopo avere invano ‘bussato’ ad alcune porte istituzionali, ho la necessità di rivolgermi alla Sua di ‘porta’ con la certezza che mi sarà aperto e che Lei potrà considerare la drammaticità in cui può naufragare un servitore dello Stato italiano senza che, lo Stato che ha servito per tutta la vita, gli butti almeno un salvagente. Sono avvilito e stremato poiché dentro al mio cervello, purtroppo, si è sviluppato un raro tumore cerebrale (‘glioblastoma’; neoplasia maligna astrocitaria di IV grado secondo la classificazione OMS) contro cui sto cercando di combattere con tutte le mie forze e con le risorse economiche miserabili di cui dispongo.
Mia Mamma, come tutte le Mamme italiane, mi ha sempre messo in guardia, allertandomi che è bene rifuggire e proteggersi da situazioni ‘avvelenate’, sennò si finisce gioco forza per ammalarsi ed io oggi ho motivo di ritenere che la malattia che mi ha colpito altro non sia che il velenoso ‘frutto’ di 27 anni di preoccupazioni, ansie, sofferenze, notti insonni ed esborsi di denaro per tentare di difendermi con infiniti rispetto e pazienza ‘nel’ sistema processuale (penale, contabile e disciplinare): non credo di esagerare se la definisco ‘TORTURA’, sicuramente disumana.
Ammirato dei Valori di Patria, Libertà, Democrazia e Giustizia mi arruolai nella Polizia di Stato il 18.07.1985 e purtroppo solo qualche anno dopo dovetti fare i conti e rassegnarmi a convivere con un vero e proprio fantasma:
un tormento giudiziario sia penale che contabile, durato oltre cinque lustri, che mi ha irreversibilmente intossicato l’esistenza devastandomi nel corpo e nello spirito, all’esito del quale furono pronunciate delle verità giudiziarie anche a mio carico – pesanti come macigni – in ordine ad un accadimento del 1992.
Una sofferenza estrema che solo provandola la si può capire. Era il 31 marzo del 1992, stazione metropolitana di Milano quando, secondo l’imputazione, nel corso di un fermo di Polizia per identificazione, un poliziotto (L.T.) avrebbe dato una ginocchiata al Signor G.C., colpendogli – secondo narrazioni – le parti genitali.
Con una denuncia postuma il Signor G.C., seppure a generosa distanza di tempo, prospettò all’Autorità Giudiziaria che gli effetti di quella ginocchiata indussero i suoi medici a procedere con l’orchiectomia di una ghiandola genitale. Nella circostanza del fermo per identificazione di G.C. io ebbi solo modo di sopraggiungere sul posto in un momento disgiunto ed ancorchè posizionato ad una certa distanza fisica, mi sarei senz’altro prestato a fornire un supporto agli Agenti operanti ove fosse emersa tale necessità ma, di certo, sarebbe stato impossibile per qualunque essere umano ancorché dotato di eccezionali doti atletiche impedire un’unica azione fisica altrui, inaspettata e della durata di una frazione di secondo come una ginocchiata.
Per effetto della ricostruzione degli eventi operata dalla Corte, ancor più inaspettatamente divenni invece destinatario di una condanna definitiva ex art. 40 Codice Penale – con una pena di mesi otto di reclusione – poiché giudicato reo “in nome del popolo italiano”, di non avere impedito che L.T. desse la ginocchiata al Signor G.C..
Oggi, come ieri, rispetto i pronunciamenti emessi dalla Magistratura ma non li posso condividere e, per quanto possa valere, esattamente come me la pensano anche molte persone ‘qualificate’ e di mestiere, i poliziotti Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali della Polizia di Stato di Padova (SIULP, SAP, SIAP, COISP, FSP e SILP CGIL) che in data 13.06.2019, dopo lo studio degli Atti, inviarono una nota congiunta al Ministro dell’Interno e al Capo della Polizia Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.
A 50 di età anni mi sono sposato con la mia amata Michela ma poco dopo mi è stato diagnosticato il glioblastoma e, da ultimo, come un orologio svizzero mi è arrivato un ‘regalo di nozze’ dal Dipartimento della P.S. secondo cui dovrei pagare al Ministero dell’Interno € 310.175,31 quale importo complessivo del debito erariale costituito da un importo iniziale, rivalutazione monetaria, interessi e spese.
Una cifra impressionante – a titolo di ‘danno’ – che il Ministero dell’Interno ha autonomamente ritenuto di riconoscere alla parte lesa sulla base della Statuizione della Corte dei Conti, attraverso una procedura transattiva perfezionata con criteri a me sconosciuti, e che è già stata elargita senza una mia previa informazione e comunque senza che io abbia potuto interagire con le Parti, quantomeno per determinare la ‘misura’ dell’importo tenuto conto che, per amore di verità, io sarei solo uno dei quattro poliziotti ‘condannati’, l’unico ahimè a non risultare privo di qualsiasi solvibilità.
Dunque, io Luca Buttarello, sono colui che da solo – per una supposta condotta omissiva statuita ed affermata in una sentenza penale – devo oggi pagare tutto e per conto di tutti gli interessati, autore del gesto compreso. Risulta un mistero anche il perché inizialmente la Prefettura competente avesse ritenuto opportuno eseguire il pagamento della somma di euro 41.328,92 mentre poi il Ministero dell’interno abbia transato con la parte lesa un importo quasi 8 volte maggiore.
Si tratta di un ammontare che, per un poliziotto come me che dopo 35 anni di servizio guadagna grossomodo 1.500,00€ al mese, si potrebbe pagare solo con 7 liquidazioni di TFS (Trattamenti di Fine Servizio) o, in alternativa, con un gigantesco mutuo della durata di almeno ottant’anni. Per ora il Ministero dell’Interno mi ha pignorato un quinto dello stipendio ed ipotecata la casa di famiglia a me intestata, un vecchio immobile frutto esclusivo di una vita di lavoro del mio stimato padre ultra-novantenne.
Aldilà della verità fattuale così come ricostruita dai Tribunali della Repubblica – condivisibile o meno che sia – mi sento come un ‘fusibile’ a basso amperaggio di un circuito elettrico chiamato a sobbarcarsi da solo, in virtù del principio c.d. ‘solidaristico’, un importo da capogiro che faccio perfino fatica a pronunciare e di cui non ho alcuna disponibilità. L’art.40 del C.P. spiega che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” e la Corte ha ritenuto che vi sia stata una mia condotta omissiva.
L’ordinamento nella formulazione della norma inserisce l’aggettivo ‘giuridico’ e questo significa che per certi eventi lesivi, conseguenza di una condotta omissiva, si può essere chiamati a rispondere. Ma é altrettanto noto però che la questione è molto discussa poiché tale chiamata in correità può contemplarsi solo se c’è un obbligo giuridico di impedire l’evento e soprattutto solo se il soggetto titolare della posizione di garanzia avesse avuto una concreta possibilità di impedire l’azione e/o l’accadimento del fatto, margine che nel caso di specie non sussisteva nel modo più assoluto: a nessuno sarebbe stato possibile ancorché dotato di straordinarie doti atletiche, impedire un’unica azione fisica, inaspettata e della durata di una frazione di secondo posta in essere da terzi, come una fulminea ginocchiata.
Le Sezioni Unite della Suprema Cassazione, chiamate a decidere sulla questione dei danni cagionati dal delitto di peculato di un cancelliere di un Tribunale della Sicilia, con la sentenza 13246 del 09/04/2019 spiegano che lo Stato – attraverso l’Amministrazione della Giustizia – risponde persino del danno subìto dal terzo per l’illecito del dipendente anche quando agisce solo per scopi personali, estranei ai fini dell’Amministrazione (“appropriandosi delle somme giacenti su libretto di deposito giudiziario, mediante falsificazione della firma del funzionario competente, etc.”).
Se le cose stanno così, mi chiedo perché lo Stato non risponda del danno subito dal Signor G.C. o quantomeno non risponda – in luogo della mia persona – per gli altri tre poliziotti condannati che parrebbe non siano solvibili. MAI nella mia vita ho pensato di porre deliberatamente in essere un atto reato o di diventarne un consapevole complice e credo di non meritare un trattamento come quello inflittomi, di una gravità imponente e di un’entità gigantesca che mi schiaccia impietosamente come in una brutale e crudele morsa.
D’altro canto il Dipartimento della Pubblica Sicurezza non mi risulta fornisca, e tantomeno fornisse 30 anni fa, alcuna Assicurazione professionale ai servitori della Polizia di Stato ma quand’anche fosse esistita una polizza in tal senso a nulla mi servirebbe poiché l’elemento psicologico determinato dai Giudici non si colloca nemmeno nel perimetro della ‘colpa’; non ne hanno ipotizzato nemmeno la mera possibilità e questo mi fa molto male.
Signor Presidente, Io non posso trovare dentro di me la forza di combattere per sopravvivere ad un tumore e, contemporaneamente, portarmi un fardello debitorio del genere sulle spalle. In queste condizioni, paradossalmente, sarebbe meno complicata e meno dolorosa una pena di morte. Sono nelle sue mani e la ringrazio infinitamente per quanto potrà fare Padova, 05 Maggio 2020 Luca Buttarello
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