Sanzione disciplinare di corpo – Ricorso gerarchico obbligatorio prima di adire il Tar

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Questa volta l’innovativa sentenza è toccata ad un Capitano dell’Aeronautica Militare, oggi Tenente Colonnello,   che aveva impugnato avanti il T.a.r. per la Toscana il provvedimento con cui gli era stata irrogata la sanzione disciplinare di corpo della consegna per giorni cinque.

Il  Tribunale aveva però  dichiarato il ricorso inammissibile per mancata previa proposizione del ricorso gerarchico, ai sensi dell’art. 16, comma 2, della l. n. 382 del 1978.

N. 00880/2018REG.PROV.COLL.

N. 07234/2010 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

1. L’allora capitano dell’Aeronautica Militare sig. Omissis ha impugnato avanti il T.a.r. per la Toscana il provvedimento prot. n. Omissis , con cui gli era stata irrogata la sanzione disciplinare di corpo della consegna per giorni cinque.

2. Costituitasi l’Amministrazione ed intervenuto ad opponendum il tenente colonnello Omissis , all’epoca dei fatti diretto superiore del ricorrente, il Tribunale ha, con l’impugnata sentenza, dichiarato il ricorso inammissibile per mancata previa proposizione del ricorso gerarchico, ai sensi dell’art. 16, comma 2, della l. n. 382 del 1978.

3. Il ricorrente, frattanto divenuto tenente colonnello, ha interposto appello, riproponendo le censure, di carattere tanto sostanziale quanto procedimentale, già svolte in prime cure ed osservando, in particolare, di avere omesso a suo tempo di esperire il previo ricorso gerarchico in base a quanto affermato da questo Consiglio nella sentenza della Quarta Sezione 25 febbraio 1999 n. 228.

3.1. In tale precedente, ha argomentato il ricorrente, si è in particolare sostenuto che il richiamato art. 16 delinei un dovere di disciplina militare e non una condizione dell’azione, anche perché dettato nell’ambito di un provvedimento legislativo recante le “norme di principio sulla disciplina militare” e privo, dunque, di carattere specificamente processuale; oltretutto, l’allora vigente normativa processuale amministrativa, rappresentata dalla l. n. 1034 del 1971, escludeva, in linea generale, che la proposizionedi ricorso gerarchico configurasse una condizione dell’azione.

4. L’Amministrazione si è costituita con breve memoria.

5. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 25 gennaio 2018, in vista della quale non sono state versate in atti difese scritte.

6. Il ricorso non merita accoglimento.

7. Il Collegio evidenzia che l’interpretazione dell’art. 16, comma 2, della l. n. 382 del 1978 – ai sensi del quale “Avverso le sanzioni disciplinari di corpo non è ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica se prima non è stato esperito ricorsogerarchico o siano trascorsi novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso” – non è, allo stato, univoca.

7.1. Questo Consiglio, con la richiamata sentenza della Quarta Sezione 25 febbraio 1999 n. 228, ha stabilito che “l’art. 16, 2º comma, l. 11 luglio 1978 n. 382 (secondo il quale contro le sanzioni disciplinari di corpo non è ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario se prima non è stato proposto ricorso gerarchico) non introduce una deroga al principio introdotto dalla l. 6 dicembre 1971 n. 1034 – che ha abolito l’onere del previo ricorso amministrativo – ma riguarda esclusivamente l’ordinamento militare, imponendo l’esperimento del ricorso gerarchico quale dovere di disciplina militare, ma non quale condizione dell’azione giurisdizionale in senso tecnico”.

7.2. Più di recente, la sentenza, sempre della Quarta Sezione, 26 marzo 2010, n. 1778 ha ritenuto che “l’art. 16 comma 2 I. n. 382 cit., riguarda esclusivamente l’ordinamento militare, imponendo l’esperimento del ricorso gerarchico contro le sanzioni del corpo quale dovere di disciplina militare, ma non quale condizione dell’azione giurisdizionale amministrativa in senso tecnico”.

7.3. Di contro, la Corte costituzionale, dapprima con sentenza 22 aprile 1997, n. 113, quindi con ordinanza 19 dicembre 2013, n. 322, ha ritenuto che la disposizione in esame, costituzionalmente legittima, configuri una condizione di proponibilità del giudizio; sulla stessa linea si è mosso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nella sentenza 19 gennaio 2010, n. 35.

7.4. Più in particolare, la sentenza della Corte n. 113 ha sostenuto che “risulta d’immediata percezione come la peculiarità dello status del militare — ripetutamente sottolineata da questa Corte (v., da ultimo, ordinanza n. 396 del 1996) — renda inappropriato il riferimento, in termini di tertium comparationis, alle regole generali dettate per il pubblico impiego. E, in secondo luogo, il consentire l’accesso alla sede giurisdizionale dopo l’esperimento del rimedio gerarchico (o l’inutile decorso del termine di novanta giorni dalla data di proposizione del ricorso stesso), rappresenta un’opzione legislativa non irrazionale, diretta com’é a perseguire la finalità di assicurare anche in tempo di pace l’ordinato svolgimento del servizio, costituente valore primario per l’andamento stesso della vita militare (cfr. sentenza n. 37 del 1992)”. Inoltre, ha proseguito il Giudice delle leggi, “come questa Corte ha più volte affermato, l’assoggettamento all’onere del previo esperimento dei rimedi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilità dell’azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, é legittimo se giustificato da esigenze di ordine generale (v., da ultimo, sentenza n. 233 del 1996), nonchè allorquando tale limitazione tenda ad evitare un uso in concreto eccessivo del diritto alla tutela giurisdizionale, tanto più ove l’adempimento dell’onere, lungi dal costituire uno svantaggio per il titolare della pretesa, rappresenti il modo di soddisfazione della posizione sostanziale più pronto e meno dispendioso (v. sentenza n. 82 del 1992). Ebbene, nella specie, la scelta del legislatore di privilegiare la via gerarchica quale naturale e immediata sede di soluzione delle controversie in ordine all’irrogazione delle sanzioni — dove oltre tutto la possibilità di proporre motivi di merito consente all’interessato di ottenere un complessivo e più penetrante riesame del fatto — é da considerarsi il risultato d’un congruo bilanciamento tra l’esigenza di coesione dei corpi militari e quella di tutela dei diritti individuali (cfr. sentenza n. 22 del 1991)”.

7.5. Di tenore analogo le argomentazioni svolte nella successiva ordinanza n. 322, invero riferita all’art. 1363, comma 2, del codice dell’ordinamento militare, riproduttivo dell’abrogato art. 16, comma 2, della l. n. 382 del 1978.

7.6. In tale occasione la Corte, premesso che l’orientamento esegetico seguito da questo Consiglio, “sterilizzando di fatto il pronunciamento della Corte, determina lo spostamento della incidenza degli effetti della mancata osservanza del dovere per il militare di previaproposizione del ricorso gerarchico, dal versante procedimentale del condizionamento della proponibilità (o procedibilità) dell’azione giurisdizionale amministrativa a quello della esclusiva rilevanza degli effetti medesimi nell’ambito dell’ordinamento militare”, ha ritenuto che non vi siano elementi normativi concreti per configurare come illecito disciplinare l’esperimento diretto del gravame giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico.

7.7. Il Consiglio di giustizia amministrativa, nella sentenza 19 gennaio 2010, n. 35, si è uniformato agli indirizzi espressi dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 113.

8. Il Collegio ritiene che l’esegesi sinora propugnata da questa Sezione meriti un integrale ripensamento.

8.1. Come osservato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 233, non vi è effettivamente alcuna base normativa per ascrivere natura di illecito disciplinare al mancato previo esperimento di ricorso gerarchico.

8.2. Di contro, il Collegio rileva che vi sono spunti normativi di segno diametralmente opposto.

8.3. Come noto, de jure condito “costituisce illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all’emanazione di un ordine” (art. 1352, comma 1, cod. ord. mil.).

8.4. Orbene, in primo luogo il ricorso gerarchico costituisce una facoltà dell’interessato: per principio logico di carattere generale il mancato esercizio di una facoltà non può mai costituire una “violazione di un dovere del servizio”; tale conclusione è coerente, inoltre, con la previsione generale sancita dal codice dell’ordinamento militare, secondo cui “L’esercizio di un diritto ai sensi del presente codice e del regolamento esclude l’applicabilità di sanzioni disciplinari” (art. 1466 cod. ord. mil.).

8.5. La “disciplina militare” (art. 1346 del codice) “è l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano”: l’attivazione di rimedi a tutela della posizione del singolo militare è, dunque, palesemente estranea al concetto in parola.

8.6. Infine, “gli ordini devono, conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare e modalità di svolgimento del servizio e non eccedere i compiti di istituto” (art. 1349, primo comma del codice, peraltro riproduttivo dell’art. 4, comma 3, della l. n. 382 del 1978): l’esperimento del ricorso gerarchico è, come visto, estraneo alla disciplina e non riguarda il servizio (inteso come attiva esecuzione di mansioni istituzionali) né i compiti di istituto.

8.7. Per vero, i concetti di “disciplina” ed “illecito disciplinare”, oggetto di specifica trattazione da parte del codice, erano comunque acquisiti e pacifici anche nel vigore della previgente disciplina: in parte qua, infatti, il codice non ha introdotto modifiche ma solo arricchito la normazione positiva di un patrimonio definitorio, in consonanza con la propria natura sistematica.

8.8. Posto, dunque, che non vi sono basi normative per annettere natura di illecito disciplinare al mancato previo esperimento di ricorso gerarchico, non resta che concludere che la disposizione in esame intenda effettivamente delineare una condizione di proponibilità del giudizio, invero costituzionalmente legittima in virtù della specialità dell’ordinamento militare, della non particolare gravosità dell’adempimento, del solo temporaneo differimento della possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale, della più intensa capacità dello strumento gerarchico di soddisfare l’interesse demolitorio del ricorrente, alla luce della cognizione di merito riconosciuta all’Autorità adita.

8.9. Del resto, in ordine alla questione della legittimità costituzionale della previsione normativa di adempimenti pregiudiziali alla proposizione di azione giurisdizionale possono richiamarsi i principi espressi da Corte costituzionale, 2 aprile 1992, n. 154; in continuità logica circa la legittimità, al ricorrere di determinati presupposti, della introduzione di condizioni di proponibilità o procedibilità dell’azione la Corte costituzionale si è, altresì, espressa nella sentenza 3 maggio 2012, n. 111, ove si è in particolare evidenziato come tali misure siano destinate “alla razionalizzazione dell’accesso alla giurisdizione ed alla sua funzionalizzazione, nel settore, ad una tutela di qualità …. a rendere possibile una anticipata e satisfattiva tutela del danneggiato già nella fase stragiudiziale”. Nella stessa direzione, in ambito eurounitario, si è da ultimo pronunciata anche la Corte giustizia UE, sez. I, 14 giugno 2017, C-75/16.

8.10. A tanto consegue che, nella vigenza del codice dell’ordinamento militare e del codice del processo amministrativo, la mancata proposizione del ricorso gerarchico, nella speciale materia in esame, configuri una ragione ostativa ad una pronuncia di merito che impone, ex art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., la declaratoria di inammissibilità del ricorsogiurisdizionale proposto in via immediata e diretto contro una sanzione militare di corpo.

9. Nella specie, pertanto, non può che rigettarsi il proposto appello.

10. Il Collegio evidenzia comunque, per estremo scrupolo motivazionale, che le censure articolate dal ricorrente difettano completamente di fondamento: dagli atti, infatti, emerge che la sanzione disciplinare impugnata gli è stata inflitta a seguito del suo rifiuto di procedere, nonostante un espresso ordine in proposito, ad adempimenti propri del suo ufficio e connotati da una semplicità elementare (controllo del contatore ENEL e riscontro di una bolla di consegna).

10.1. La banalità di tali incombenti, peraltro pacificamente delegabili a sottoposti non integrando spendita di poteri ma mera attività materiale, rende di converso ininfluente la lamentata carenza di organico, peraltro a quanto consta contenuta in una misura (20% della forza teorica) non caratterizzata da profili di assoluta, insuperabile ed oggettiva eccezionalità tali da rendere fisicamente impossibile l’adempimento dei doveri d’ufficio.

10.2. Né miglior sorte meritano le censure di carattere procedimentale: la contestazione di non aver eseguito uno specifico ordine è tutt’altro che “generica”; il ristretto tempo concesso per apprestare le proprie osservazioni non consta avere, in concreto, conculcato i diritti di difesa dell’interessato; parimenti, l’indicazione della possibilità di scegliere un difensore solo fra gli ufficiali assegnati al reparto non risulta aver effettivamente leso la posizione dell’incolpato.

11. Le spese del grado possono essere compensate, in considerazione della non uniformità della giurisprudenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza.

Spese compensate.

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