Libro bianco della GdF. Se si vuole realmente il cambiamento si valorizzino le risorse umane, mediante meritocrazia, giuste ed eque ricompense morali e si rivaluti il senso di comunità

Editoriale del Segretario Generale SINAFI – Eliseo Taverna

Non a tutto il personale della Guardia di Finanza é forse noto che il Comandante Generale ha avviato, da tempo, un progetto fortemente ambizioso, almeno nelle volontà dichiarata, che mira ad attuare una riforma del Corpo o più segnatamente alla rivisitazione di alcune peculiarità organizzative che lo compongono.

Forse se ne sarebbe dovuto parlare molto di più pubblicamente, soprattutto informando il personale, che ne é il diretto interessato, nella considerazione che non è ipotizzabile pensare ad una riforma che potrebbe toccare tutti i settori nevralgici della vita lavorativa e non solo dell’appartenente al Corpo, che si potrebbe rivelare sostanziale ed impattante, senza che la generalità delle persone che compongono l’organizzazione stessa né sappia nulla.

Ad onor del vero, c’é da evidenziare che sono stati formati diversi gruppi di lavoro, composti e presieduti da Generali di Corpo d’Armata, integrati da appartenenti al Corpo di diverse categorie e grado, che danno il loro contributo e che, ormai, da qualche mese riflettono, studiano ed interloquiscono a tutto tondo.

Gruppi di lavoro, autorevoli, che oltre a formulare interviste al personale delle varie categorie, solo in alcuni territori, per capire il suo punto di vista, si sono già confrontati con il Consiglio Centrale di Rappresentanza ed hanno mostrato la piena volontà a valutare le proposte che il prefato Organismo intenderà formulare.

La prima riflessione che ci viene da fare, visto che ormai siamo, più o meno, tutti consapevoli – perché al di là delle buone intenzioni manifestate da chi ha pensato la riforma, l’esperienza di vita ce lo insegna – che i veri cambiamenti che servono alla base, difficilmente partono dall’alto ma dovrebbero partire dal basso, da chi lamenta forme di ingiustizia, sperequazioni o condizioni di lavoro da rivedere.

Possono esserci piccoli restyling, nuove previsioni, innovazioni anche significative in alcune aree, ma i vertici di un’Amministrazione sono veramente d’accordo e disposti a mettersi realmente in discussione per cancellare storture incancrenitesi, a volte ingiustizie consolidatesi nel tempo e puntare su un reale senso di appartenenza e di comunità?

Ma oltre a questo interrogativo, la domanda ricorrente che lambisce la mente del finanziere che lavora al porto, in aeroporto, che svolge pattuglie di pronto impiego, verifiche complesse o in ogni altro settore con una mansione gravosa e che lo espone ogni giorno a responsabilità e a rischi inimmaginabili, risiede non tanto negli ambiziosi progetti che si prospettano, che potrebbero essere senz’altro potenzialmente importanti, ma quanto verso le questioni basilari che caratterizzano da anni il suo lavoro, le problematiche di tutti i giorni con le quali si ci scontra ed il rapporto con l’Amministrazione.

Il primo passo essenziale non potrà che essere, quindi, quello di ricostruire “la comunità” ed il senso di appartenenza alla stessa.

Concetti ormai sviliti e svaniti, non solo e soprattutto per il profondo cambiamento e trasformazione che la società ha subìto nel corso degli anni, con le sue luci e le sue tante ombre, ma anche a causa del venir meno di quel senso di appartenenza e di comune vicinanza che costituisce il legame indissolubile tra persone che hanno scelto di servire il Paese.

Purtroppo, invece, in ogni organizzazione di persone, si creano sottocumunità o sottogruppi, non sempre proficui ed inclusivi, ma spesso escludenti e che tendono ad isolare anziché aggregare e questo, insieme ad eventuali ingiustizie subìte nel rapporto di lavoro, si sommano e portano alla perdita di quel senso di appartenenza all’organizzazione.

Quel senso di appartenenza e di condivisione dei valori di una comunità, che se sono fondamentali per ogni cittadino, lo sono profondamente ancor più per chi, come il finanziere, il poliziotto il carabiniere di ogni ordine e grado, ha un portato di altruismo e di dedizione alla “missione che sta svolgendo”, che oltre all’imposizione che discende dal giuramento prestato e dall’assunzione del particolare status, gli deriva da un’intima predisposizione a dedicare sé stesso alla collettività.

Oggi, purtroppo, il personale arriva nelle caserme, spesso svolge la propria prestazione senza troppo coinvolgimento, non di rado indifferente a tutto ciò che lo circonda e nemmeno più interessato a portare avanti le proprie idee in modo costruttivo, sempre per il bene dell’organizzazione, ma rassegnato nel dover dire “signor sì” anche quando le cose non vanno bene o ha una visione differente di questa o di quella pratica da evadere.

D’altro canto, lavora in un’organizzazione, a componente militare, piramidale e con una necessaria catena di comando che spesso ha l’esigenza di non mettere in discussione le disposizioni che arrivano dall’alto e che non lasciano troppi margini al confronto.

In questo ambito, pertanto, si innesca la possibilità e l’opportunità, ma io direi anche il dovere morale di chi ha le redini dell’Amministrazione, di bilanciare le esigenze e capire realmente l’esigenza di cambiamento che perviene dal basso e che vede al primo posto il senso di comunità, la meritocrazia, l’equità nelle ricompense morali e nella progressione di carriera, nonché la valorizzazione delle risorse umane a prescindere dal grado rivestito.

Se si comprenderanno queste esigenze e i valori essenziali che danno veramente forza all’organizzazione, allora sì che l’autore di questo cambiamento epocale passerà alla storia e conquisterà senza alcuno sforzo particolare il consenso generale del personale.

Il sostantivo “cambiamento” si riferisce a tutte quelle cose o situazioni che sono diverse da ciò che erano prima”.

Eliseo Taverna – Segretario Generale SINAFI

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