I Militari possono iscriversi ai partiti politici – Sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato si è espresso e la sentenza non lascia spazio a dubbi. I Militari possono iscriversi ai partiti politici, purchè non assumano cariche all’interno degli stessi. La sentenza si basa sul fondamentale presidio di libertà del singolo e di garanzia della permanenza del carattere democratico della Repubblica. Sempre il Consiglio di Stato, nella sentenza che vi alleghiamo in calce, dispone testualmente:

il Titolo IX del Libro IV del codice dell’ordinamento militare, in cui è collocato l’art. 1483, si apre con una disposizione, l’art. 1465, che al primo comma statuisce espressamente che “Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, dunque anche quello di associazione a fini politici, ma è semanticamente dubbio che la mera iscrizione ad un partito concreti, in sé, una forma di partecipazione alla competizione politica, cui solo è riferito l’articolo in commento.

la mera iscrizione di un appartenente alle Forze Armate ad un partito politico costituisce, allo stato attuale della legislazione, un comportamento ab imis lecito che in nessun caso può essere stigmatizzato dall’Amministrazione militare.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1507 del 2017, proposto da Ministero della difesa – Comando Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Carta e Giovanni Carta, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Parioli, 55;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Piemonte, Sez. I, n. 1127 del 5 settembre 2016, resa tra le parti, concernente ammonimento a recedere da una carica all’interno di un partito politico e successiva irrogazione della sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore per giorni cinque per mancato recesso da tale carica e da precedente iscrizione ad altro partito.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio diOMISSIS;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2017 il Cons. Luca Lamberti e uditi per la parte ricorrente gli avvocati dello Stato Natale e Greco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Il maresciallo OMISSIS, all’epoca in servizio presso il Nucleo Operativo Radiomobile della Compagnia di OMISSIS, ha impugnato avanti il competente T.a.r. il provvedimento prot. n. 3241/10 del 31 agosto 2010 (e i propedeutici atti procedimentali) con cui il comandante della Legione carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” lo ha formalmente ammonito a recedere dalla carica, da lui in precedenza assunta, di segretario regionale per il Piemonte del “P.S.D. – Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa”.

1.1. Con ricorso per motivi aggiunti il maresciallo OMISSIS ha impugnato il successivo decreto (Comando Interregionale carabinieri “Pastrengo” prot. n. 171/3 dell’1 aprile 2011) recante il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso la sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore per giorni cinque (decreto Comando Legione carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” prot. n. 3241/65 del 9 dicembre 2010). Le mancanze contestate consistevano nell’iscrizione, in data 28 novembre 2009, ad un partito politico (l’allora “Lega Nord – Bossi”), nella successiva assunzione, in data 23 marzo 2010, della carica di segretario regionale in altro partito politico (“P.S.D. – Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa”) e nella mancata ottemperanza a due distinti provvedimenti di formale ammonimento a recedere da tali iniziative, a lui notificati in data 4 agosto 2010 (con riferimento all’iscrizione al partito “Lega Nord – Bossi”, non impugnato) e 4 settembre 2010 (con riferimento all’assunzione di carica nell’ambito del partito “P.S.D. – Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa”, impugnato con il ricorso introduttivo).

2. Il Tribunale, all’esito di un’approfondita ricostruzione del vigente tessuto normativo relativo alla possibilità, per i militari, di svolgere attività politica, ha accolto le censure del ricorrente, annullando tutti gli atti impugnati.

3. L’Amministrazione ha interposto appello, riproponendo le coordinate esegetiche già coltivate in prime cure.

4. Il maresciallo OMISSIS si è costituito ed ha eccepito in rito l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità, nel merito la correttezza del decisum di primo grado.

5. Il ricorso, trattato ed assunto in decisione alla pubblica udienza del 9 novembre 2017, merita parziale accoglimento nei limiti che seguono.

6. In primis, non si apprezza alcuna ragione di inammissibilità o improcedibilità dell’appello o del ricorso di primo grado.

6.1. Laddove, infatti, la materia del contendere inerisca solo a questioni di diritto, il requisito della specificità prescritto dall’art. 101 c.p.a. è nella sostanza soddisfatto allorché l’appello, come nella specie, delinei con sufficiente precisione un’esegesi normativa alternativa a quella adottata dalla sentenza impugnata e con essa radicalmente incompatibile.

6.2. Né l’intervenuto annullamento dell’irrogazione della consegna di rigore, disposto con provvedimento del 25 novembre 2016, determina l’improcedibilità del gravame, perché l’atto – comunque non riferito anche al propedeutico ammonimento a recedere dalla carica di segretario regionale, parimenti impugnato – è stato emanato al solo e dichiarato fine di prestare ottemperanza alla sentenza del Tribunale e non concreta, quindi, una forma di spontanea autotutela.

6.3. Non ha, infine, incidenza sulla procedibilità del presente giudizio il fatto (peraltro non documentato dall’interessato ed in ordine al quale la difesa erariale non ha svolto alcuna deduzione) che, a quanto consta, nelle more della decisione il maresciallo OMISSIS sia stato collocato in “congedo illimitato per sopravvenuta permanente inidoneità al servizio militare incondizionato” (cfr. memoria del 23 marzo 2017, pag. 3).

6.3.1. In disparte il fatto che il congedo costituisce una posizione di stato giuridico del personale militare (cfr. art. 874 cod. ord. mil. di cui al d. lgs. n. 66 del 2010) e che manca una dichiarazione espressa di sopravvenuta carenza di interesse alla coltivazione del ricorso di primo grado, il maresciallo OMISSIS conserva comunque interesse alla definizione di una controversia afferente alla legittimità di una sanzione inflitta per il pregresso esercizio di un suo diritto fondamentale (e caratterizzante ab interno il suo status civitatis), alla luce della norma sancita dagli artt. 880, comma 6, e 982, comma 2, cod. ord. mil., in forza della quale il militare in congedo o in congedo assoluto è comunque soggetto alle disposizioni di stato riflettenti il grado e la disciplina.

7. Nel merito, il Collegio osserva quanto segue.

7.1. L’art. 49 della Costituzione statuisce che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

7.2. Il successivo art. 98, terzo comma, aggiunge che “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

7.3. Il diritto di associazione (di cui, invero, l’iscrizione a partiti politici costituisce una species) è, poi, contemplato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 11), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 12), dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in data 10 dicembre 1948 (art. 20) e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, anch’esso elaborato in ambito O.N.U. e sottoscritto in New York in data 16 dicembre 1966 (art. 22).

7.4. Sul crinale della legislazione ordinaria, i riferimenti sono dati dall’art. 6, commi 1 e 2, della l. n. 382 del 1978, poi sostituito – peraltro con una dizione assolutamente identica – dall’art. 1483 cod. ord. mil..

7.5. Le speculari disposizioni in questione stabiliscono, in particolare, che “1. Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche.

2. Ai militari che si trovano nelle condizioni di cui al comma 2 dell’articolo 1350” (il previgente art. 6 della l. n. 382 rimandava al terzo comma dell’articolo 5, di contenuto analogo) “è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative”.

7.6. A sua volta, il comma 2 dell’art. 1350 (come il previgente terzo comma dell’art. 5 della l. n. 382) statuisce che “Le disposizioni in materia di disciplina militare si applicano nei confronti dei militari che si trovino in una delle seguenti condizioni: a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l’uniforme; d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”.

8. Ad avviso dell’Amministrazione, la dizione di cui al primo comma (“1. Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche”) non può che implicare un generalizzato divieto anche per i singoli appartenenti alle Forze Armate di partecipare alle “competizioni politiche” e, dunque, di iscriversi a partiti, che lo stesso testo costituzionale, del resto, riconosce diretti a consentire al cittadino di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

8.1. Siffatta esegesi, argomenta la difesa erariale, risponderebbe a criteri di razionalità interpretativa: in primo luogo le Forze Armate in sé, ossia come istituzione della Repubblica, non potrebbero strutturalmente partecipare alle competizioni politiche, naturaliter riservate al singolo civis, per cui, ove interpretata in tal senso, la norma sarebbe inutiliter data; inoltre la disposizione, riferendosi non alle elezioni ma, più in generale, alle competizioni politiche, plasmerebbe un generalizzato divieto di immistione in ambito lato sensu politico che non potrebbe essere concretamente ed efficacemente attinto se non mediante l’imposizione in capo ad ogni singolo militare di un rigido dovere di assoluta estraneità.

8.2. In tale ottica, prosegue la difesa erariale, si restituirebbe pure linearità sistematica ed armonicità dispositiva al richiamo all’art. 1350, comma 2 operato dall’art. 1483 cod. ord. mil.: il singolo militare, in radice privo della facoltà di iscriversi a partiti politici, non potrebbe neppure, quand’anche non iscritto a partiti, “partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative” in specifiche (e tassative) condizioni, ossia allorché si trovi in servizio, in luoghi militari o comunque destinati al servizio, ovvero allorché indossi l’uniforme, ovvero ancora allorché si qualifichi come militare o si rivolga ad altri militari in divisa o che, comunque, si qualificano come tali.

8.3. Prova ulteriore della correttezza di tale tesi sarebbe, infine, costituita dal disposto dell’art. 751 del d.p.r. n. 90 del 2010, “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”, a tenore del quale può essere punito con la sanzione della consegna di rigore, inter alia, ogni “comportamento lesivo del principio della estraneità delle Forze armate alle competizioni politiche (articolo 1483 del codice)”.

9. Il Collegio osserva che tale opzione ermeneutica, pur astrattamente convincente in un’ottica sistematica e teleologicamente orientata, cionondimeno si infrange contro l’insuperabile chiarezza del dato testuale, primo e principale riferimento per l’operazione esegetica.

9.1. Deve in primis osservarsi che, a tenore dell’art. 49 della Costituzione, la facoltà di partecipare alla vita politica della Nazione mediante l’iscrizione a partiti politici rappresenta un diritto politico fondamentale di ogni cittadino, caratterizzante l’attuale ordinamento democratico.

9.2. Un’eventuale limitazione di tale fondamentale presidio di libertà del singolo e di garanzia della permanenza del carattere democratico della Repubblica è peraltro possibile, ai sensi del successivo articolo 98 della Carta fondamentale, per specifiche categorie di cittadini, tra cui “i militari di carriera in servizio attivo”, a mezzo di legge.

9.3. Orbene, è evidente che tale legge non possa che essere chiara, specifica ed univoca e, soprattutto, che debba essere interpretata, quale norma recante un’eccezione ad un principio costitutivo della Repubblica, in forma strettamente restrittiva, senza alcuna possibilità di esegesi estensive o, comunque, non direttamente e rigidamente conseguenti all’articolazione testuale della disposizione.

9.4. Tali caratteri, invero, ictu oculi difettano nel testo del primo comma dell’articolo 1483, privo di riferimenti diretti ed univoci alla facoltà del singolo militare di iscriversi a partiti politici.

9.5. Oltretutto, non solo il Titolo IX del Libro IV del codice dell’ordinamento militare, in cui è collocato l’art. 1483, si apre con una disposizione, l’art. 1465, che al primo comma statuisce espressamente che “Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, dunque anche quello di associazione a fini politici, ma è semanticamente dubbio che la mera iscrizione ad un partito concreti, in sé, una forma di partecipazione alla competizione politica, cui solo è riferito l’articolo in commento.

9.6. Inoltre e prima ancora, il testo costituzionale delinea una mera facoltà del legislatore di introdurre “limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici”: in disparte la questione, nella presente sede irrilevante, se possa essere costituzionalmente legittima una legge che imponga una radicale elisione di tale diritto, il Collegio osserva che la regula juris costituzionale di base è nel senso dell’assoluta identità di condizione giuridica del civis in armi rispetto agli altri quanto alla facoltà di iscriversi a partiti.

9.7. Anche in tale ottica, dunque, la dizione legislativa secondo cui “Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche” non è idonea a sorreggere le conclusioni cui perviene la difesa erariale, proprio in quanto la disposizione non menziona in alcun modo il singolo militare né, tanto meno, ne perimetra in senso riduttivo la libertà, costituzionalmente presidiata, di associazione a fini politici.

9.8. Di converso, non è vero che, ove interpretata nel senso anelato dal maresciallo Cataldi, la norma sia priva di senso: essa, al contrario, conserva uno spazio normativo proprio laddove impone all’istituzione “Forze Armate” di non prendere in alcun modo parte alle competizioni politiche.

9.8.1. Si pensi, in particolare, a comportamenti materiali, a dichiarazioni pubbliche o, comunque, ad iniziative di carattere prima facie politico adottate dai rappresentati apicali di una Forza Armata in tale loro qualità: simili azioni, inevitabilmente idonee ad impegnare l’istituzione tutta ed a determinarne il sostanziale ingresso nell’agone politico, costituiscono proprio ciò che la disposizione intende impedire.

9.9. Né può valere, a conforto della tesi propugnata dalla difesa erariale, il disposto di cui all’art. 751 del d.p.r. n. 90 del 2010, in considerazione della natura meramente attuativa del provvedimento, che, come tale, non definisce le categorie giuridiche cui si riferisce ma, al contrario, le mutua dal sovra-ordinato atto legislativo.

9.10. Allargando la visuale, poi, il Collegio osserva che, allorché il legislatore ha inteso escludere in toto il diritto di iscrizione a partiti politici, lo ha fatto con ben altra chiarezza dispositiva: si ponga mente all’art. 114 della l. n. 121 del 1981, la cui efficacia è stata più volte prorogata ma che allo stato non è più vigente, secondo il quale “Fino a che non intervenga una disciplina più generale della materia di cui al terzo comma dell’articolo 98 della Costituzione, e comunque non oltre un anno dall’entrata in vigore della presente legge, gli appartenenti alle forze di polizia di cui all’articolo 16 della presente legge non possono iscriversi ai partiti politici”.

9.11. Da ultimo, si sottolinea che l’esegesi caldeggiata dalla difesa erariale si pone pure in possibile attrito con il diritto internazionale convenzionale e comunitario.

9.11.1. L’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, premesso che “ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione”, ammette che “l’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate” possa essere sottoposto a “restrizioni legittime”, locuzione nella cui area semantica, per quanto ampiamente considerata, non può farsi rientrare la radicale preclusione.

9.11.2. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea stabilisce, all’art. 12, che “ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico”, senza accennare neppure a possibili forme di limitazione per specifiche categorie di soggetti.

9.11.3. Analoga statuizione incondizionata si legge nell’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, a tenore del quale “ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica”.

9.11.4. Infine, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, all’art. 22, ammette che il “diritto alla libertà di associazione”, riconosciuto ad ogni “individuo”, possa essere oggetto, per quanto attiene ai “membri delle forze armate”, di “restrizioni legali”, non già, dunque, di una radicale esclusione.

9.11.5. L’interprete, pertanto, è tenuto a formulare coordinate ermeneutiche atte ad evitare in radice il rischio di tali possibili contrasti, alla luce sia del disposto dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, sia del fatto che il relativo accertamento è, nell’ordinamento del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea, sottratto alla cognizione e decisione del Giudice nazionale e rimesso ad organi giurisdizionali di origine pattizia e carattere sovranazionale.

9.12. In conclusione, la mera iscrizione di un appartenente alle Forze Armate ad un partito politico costituisce, allo stato attuale della legislazione, un comportamento ab imis lecito che in nessun caso può essere stigmatizzato dall’Amministrazione militare.

9.13. Significativamente, del resto, nell’ambito del procedimento finalizzato alla delibazione del possibile rilievo disciplinare della condotta del maresciallo Cataldi la stessa Amministrazione ha ritenuto (cfr. nota del Gabinetto del Ministro della difesa prot. n. 1/28411/2.6.32/06ML del 3 luglio 2009 e successiva nota prot. n. 81/19-136-2-1981 del 20 giugno 2010 del Comando generale dell’Arma – documenti nn. 3 e 4 prodotti in primo grado da parte ricorrente) che “l’iscrizione” a partiti politici sia vietata “non in sé” ma in quanto, in tesi, “assorbita dal divieto di esercizio di attività politica”.

10. Conclusioni frontalmente diverse, invece, debbono essere raggiunte ove il militare non si limiti alla mera e per così dire “statica” iscrizione ad un partito, ma spenda una condotta politicamente “dinamica” mediante l’assunzione di cariche all’interno di una formazione politica.

10.1. Mentre, infatti, la mera iscrizione, quale adesione ideale alle scelte politico-ideologiche di un partito, non presenta, in sé, un contenuto attivo e propositivo, al contrario l’assunzione di cariche direttive veicola la possibilità di incidere ab interno su tali scelte, contribuendo a determinarne profilo, direzione ed intensità.

10.2. Inoltre, tale condizione accentua (recte, nell’attuale società della comunicazione sostanzialmente impone) l’esposizione sociale e mediatica dell’interessato, potenzialmente suscettibile di essere chiamato a dare conto dell’indirizzo politico della formazione cui aderisce ed a parlare in nome e per conto di essa in plurimi contesti pubblici, ossia a svolgere, in varie forme, attività di “propaganda politica”, espressamente vietata dall’art. 1472, comma 3, cod. ord. mil..

10.3. Questo diverso ed assai maggiore grado di magnitudine dell’impegno politico determina, quindi, una frizione con il richiamato principio di estraneità delle Forze Armate alle competizioni politiche: posto, infatti, che lo status di militare non è limitato agli orari di servizio ma, sia in ottica ordinamentale sia nella più ampia considerazione sociale, attiene alla persona e ne segue e connota l’operare, quelle dichiarazioni pubbliche, quelle scelte programmatiche, quelle polemiche politiche sarebbero inevitabilmente ricondotte dal generale pubblico (anche) alla Forza Armata cui l’esponente partitico appartiene e per la quale continua a prestare contestualmente servizio attivo.

10.4. Questa indebita commistione, poi, si apprezzerebbe in misura esponenziale nell’ambito locale ove vive (e dove solitamente presta servizio) il militare: tale status, con ogni verosimiglianza, ne aumenterebbe la visibilità e l’identificabilità e, in tal modo, determinerebbe altresì la riconduzione di quella attività partitica, in sé necessariamente “politica” e legittimamente “di parte”, ad un’istituzione strutturalmente e costitutivamente neutrale quale sono e debbono in ogni circostanza rimanere e dimostrare di rimanere le Forze Armate.

10.5. A conferma di quanto sopra, del resto, si osserva che, ai sensi dell’art. 16 dello statuto del partito “P.S.D. – Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa”, “il Segretario Regionale … ha la rappresentanza politica del partito nella Regione” e ne “attua la linea politica” (così la nota prot. n. 3241/10-2009-D del 31 agosto 2010 impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non specificamente contestata dal maresciallo omissis in parte qua): sono evidenti, inevitabili ed imprescindibili, dunque, i connotati attivi intrinsecamente propri della carica in questione.

10.6. La correttezza di siffatta ricostruzione emerge, a contrario, dalle previsioni recate dal codice dell’ordinamento militare in punto di esercizio, da parte dei militari, del diritto di elettorato passivo in relazione a “cariche politiche”.

10.6.1. Ai sensi dell’art. 1484, infatti, i militari candidati ad elezioni possono sì “svolgere liberamente attività politica e di propaganda”, purché “al di fuori dell’ambiente militare e in abito civile” e, comunque, sono ex lege collocati “in apposita licenza straordinaria per la durata della campagna elettorale”.

10.6.2. In caso, poi, di effettiva elezione a “cariche politiche”, i militari interessati sono posti d’ufficio in “aspettativa” sin “dall’atto della proclamazione degli eletti” (articoli 903 e 1488).

10.6.3. La legge, quindi, si cura di frapporre un diaframma strutturale fra esercizio del diritto di elettorato passivo relativo a “cariche politiche” ed attività di servizio, in tal modo evitando che il militare impegnato in campagna elettorale (e, a fortiori, eletto ad una “carica politica”) possa svolgere contestualmente attività istituzionale, al fine di elidere ogni possibile coinvolgimento, anche solo indiretto, della Forza Armata di appartenenza nella competizione politica cui si sia dedicato un proprio membro.

10.7. In definitiva, de jure condito il singolo militare può sì iscriversi ad un partito e, anche in tale qualità, esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, ma non può mai assumere, nell’ambito di una formazione partitica, alcuna carica statutaria neppure di carattere onorario, a tutela indiretta ma necessaria del principio di neutralità “politica” delle Forze Armate: tale principio, infatti, sarebbe inevitabilmente leso ove un militare, lungi dal limitarsi ad aderire, mediante la propria iscrizione, alle coordinate valoriali di una formazione politica o dal rappresentare in prima persona i cittadini in assemblee elettive, contribuisse personalmente, direttamente e, per così dire, istituzionalmente, in forza di una formale qualifica statutaria, a plasmare ab interno la linea politica di formazioni di massa ed intrinsecamente di parte quali sono gli odierni partiti politici.

11. L’applicazione di tali coordinate esegetiche al caso di specie conduce al parziale accoglimento dell’appello.

11.1. E’, anzitutto, legittimo l’ammonimento a recedere dalla carica di segretario regionale del “P.S.D. – Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa”, recato dal provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure.

11.2. Parimenti legittimo è il successivo provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore (impugnato in prime cure con ricorso per motivi aggiunti) nella parte in cui si fonda sulla mancata ottemperanza, da parte del maresciallo OMISSIS, al previo ammonimento a recedere dalla menzionata carica partitica; il provvedimento è, viceversa, illegittimo nella parte in cui si riferisce alla mancata ottemperanza, da parte del militare, al previo ammonimento (peraltro non impugnato) a recedere dall’iscrizione al partito “Lega Nord – Bossi”.

11.3. Deve, dunque, in parziale accoglimento dell’appello, riformarsi la sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato il provvedimento del comandante della Legione carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” prot. n. 3241/10 del 31 agosto 2010 e nella parte in cui ha annullato in toto, anziché solo in parte, il successivo provvedimento del comandante interregionale carabinieri “Pastrengo” prot. n. 171/3 dell’1 aprile 2011 ed il connesso provvedimento del comandante della Legione carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” prot. n. 3241/65 del 9 dicembre 2010.

11.4. In osservanza della presente decisione, l’Amministrazione è conseguentemente chiamata a rideterminarsi, ora per allora, sulla misura della sanzione disciplinare (in sé legittima) inflitta al maresciallo OMISSIS per le due mancanze disciplinari de quibussotto il profilo della congruità e della proporzione, in considerazione del fatto che uno degli originari addebiti è stato ex post riconosciuto come ab origine privo di rilievo disciplinare.

12. Le spese del doppio grado di giudizio – ricorrendo i presupposti applicativi degli articoli 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c. – possono essere integralmente compensate, in considerazione dell’andamento del giudizio nei due gradi e, più in generale, della novità e complessità giuridica delle sottese questioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente ai sensi, nei limiti e per gli effetti indicati in parte motiva.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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