Chiede finanziamenti a nome del comandante falsificando i documenti. Condannato Caporal Maggiore dell’ Esercito

Un Caporal Maggiore Capo Scelto dell’ Esercito sarebbe riuscito ad impossessarsi dei documenti di alcuni ufficiali e perfino del comandante del reparto chiedendo somme di danaro ad alcune finanziarie falsificando le firme. Ma il tentativo di truffa è stato scoperto dallo stesso comandante.

Il militare – si apprende dalla sentenza di primo grado – tra il settembre e il novembre 2014, aveva posto in essere un meccanismo truffaldino strutturato. Dopo essere riuscito ad accedere al sistema informatico del Centro Rischi Intermediazione Finanziaria , aveva raccolto informazioni su diversi ufficiali del I Reggimento Bersaglieri di Cosenza, verificando la qualità di pagatori degli stessi ed aveva predisposto una serie di documenti falsi  per chiedere finanziamenti, facendo figurare, quale sottoscrittore del contratto, il comandante del Reparto.



Qualcosa però andò storto ed i contratti di finanziamento non furono accettati, poiché, dopo la richiesta formale, gli operatori delle finanziarie contattarono il Comandante ( quello vero). L’ufficiale, letteralmente allibito , prese atto del raggiro, venendo a conoscenza che qualcuno stava tentando di chiedere un finanziamento a suo nome ponendo delle firme false .

Né scaturì un’indagine e dopo le opportune verifiche,  gli inquirenti  arrivarono a perquisire l’ ‘abitazione del Caporal Maggiore capo Scelto.  Da quanto si apprende dalla sentenza del Tribunale Militare , nella casa furono trovate “tre richieste presso il Centro Rischi Intermediazione Finanziaria relative all’ufficiale menzionato e se ne era dedotto che, accertata la qualità di buon pagatore,  egli aveva predisposto una carta di identità falsa del predetto, utilizzando il documento di una persona residente da anni all’estero;

Dalle ricostruzioni dei fatti,  secondo i giudici,  il militare avrebbe esibito falsa documentazione, riuscendo ad ottenere il rilascio di schede SIM da compagnie telefoniche,  fornendo un recapito telefonico per attuare le truffe a nome del Comandante. Infine nell’abitazione del militare venne ritrovata una cartella contenente una serie di documenti elettronici (tessere sanitarie o codici fiscali) di diversi ufficiali, tra cui anche quelli del Comandante del Reparto, (compresa una carta di credito).

Nel  corso delle indagini, il consulente tecnico grafico del P.M. effettuò una comparazione sulle firme apposte sui documenti contraffatti  (apparentemente del comandante del reparto) e sulla grafia di documenti sicuramente riconducibili all’imputato e concluse che quelle firme false erano state apposte con elevatissima probabilità (pari a circa il 90%) dal militare imputato. Il Tribunale Militare di Napoli quindi condannò il Caporal maggiore capo scelto, alla pena di mesi otto di reclusione militare per tentata truffa aggravata.

La Corte Militare di Appello confermò la condanna di primo grado, poiché le indagini che avevano condotto al militare erano partite per altro analogo episodio di truffa. Inoltre la documentazione di identità allegata alle richieste di finanziamento recava i dati del Comandante del Reparto, ma era di altra persona ed i due numeri di telefono forniti alle società finanziarie erano intestati ad una terza persona che ignorava la loro esistenza, ma che una di esse aveva contattato più volte il fratello dell’imputato e che la cella di riferimento delle chiamate corrispondeva alla zona di abitazione del militare accusato.

Infine la perquisizione a casa del caporal maggiore aveva permesso di rinvenire detta scheda telefonica oltre a molto materiale rilevante (carta di credito Fineco intestata al Comandante con relativo PIN; comunicazioni Fineco indirizzate al Comandante ; altre password e codici Pin intestati al Comandante; una pen-drive contenente tessere sanitarie, codici fiscali e altri documenti del Comandante e di altri ufficiali; un appunto recante il nome del Comandante con accanto i due numeri telefonici forniti alle società finanziarie; fogli recanti dati sensibili della persona offesa); si appurava che egli avesse effettuato richieste al Centro Rischi Intermediazione Finanziaria circa il Comandante e che lo stesso avesse disconosciuto ogni firma ed ogni altro materiale presentato alle società finanziarie.

In conclusione secondo il Giudice, il caporal maggiore capo scelto aveva contribuito in modo rilevante alla realizzazione della condotta criminosa, poiché il possesso di tanto materiale non poteva avere altro significato e del resto egli aveva la carta di credito intestata al comandante del  Reparto, da questi mai richiesta, grazie alla quale avrebbe potuto beneficiare del frutto della truffa. Al militare non restò quindi che tentare la via della Cassazione. 

Stralcio della sentenza della Corte di Cassazione



Secondo i giudici di Cassazione, il ricorso deve essere dichiarato  inammissibile, poiché è manifestamente infondato.
II ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative , erronee applicazioni di norme o illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un
non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative compiutamente
giustificate dal giudice, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storicofattuale posto a fondamento del tema d’accusa.

La Corte territoriale – sostengono i giudici – non ha trascurato di considerare le giustificazioni fornite dal ricorrente, ma le ha valutate come non credibili: infatti, da un lato ha sottolineato che l’elemento cruciale nella ricostruzione della vicenda criminosa era il rinvenimento a casa del ricorrente di documentazione dal significato inequivoco , d’altro lato, ha evidenziato che quel materiale – già di per sé significativo – assumeva una valenza di ulteriore rilievo se posto accanto ad altre circostanze che legavano il  ricorrente alla complessa manovra truffaldina posta in essere (le sue richieste al Centro Rischi Intermediazione Finanziaria relative al comandante del reparto, la scheda telefonica intestata a persona che ignorava la vicenda, il documento di identità apparentemente del comandante, ma recante la fotografia di altra persona).

Sul punto, è lo stesso art. 56 cod.pen. che offre utili spunti di riflessione nella parte in cui dispone che il delitto tentato si verifica in due ipotesi:

1) quando l’azione non si compie (cd. tentativo non compiuto); 2) quando l’evento non si verifica (cd. tentativo compiuto). 
Quando la legge adopera la locuzione “evento che non si verifica” è chiaro che ipotizza il caso dell’agente che ha compiuto l’esecuzione degli atti tipici del delitto programmato, ma che questo non si è verificato per un fatto indipendente dalla sua volontà.

Non possono avere rilevanza in questa sede – concludono i giudici – le circostanze indicate dal militare quali la non continuità nello svolgimento del servizio, la mera detenzione di una lista di dati, la non riconducibilità a lui delle fotografie sui falsi documenti: si tratta di una sollecitazione ad un apprezzamento di merito che non può trovare spazio in questa sede di legittimità;




Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al  versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in 3.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M.


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